lunedì 3 gennaio 2011
Circa 80 migranti africani, per la maggior parte etiopi, sono morti annegati al largo delle coste del sud dello Yemen, quando i due barconi su cui erano ammassati si sono rovesciati.
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La colpa, probabilmente, è delle forti raffiche di vento e delle violente ondate che spazzano il Golfo di Aden. Due imbarcazioni cariche di profughi, prevalentemente di origine etiope, si sono ribaltate nel braccio di mare che separa il Corno d’Africa dalla penisola arabica: 43 persone sono morte annegate mentre circa 40 risultano disperse. La notizia è stata diffusa dal ministro dell’Interno yemenita. «Una delle imbarcazioni trasportava 46 persone, la gran parte etiopi, e si è capovolta vicino alla costa, nella provincia di Taez - ha spiegato il ministro, citando la guardia costiera -. Tutte le persone a bordo, ad eccezione di tre somali, sono annegate». L’altra imbarcazione coinvolta, invece, è affondata al largo delle coste della provincia di Lahej, e trasportava «tra le 35 e le 40 persone, tutti etiopi tra cui donne e bambini - ha concluso il ministro - La loro sorte resta sconosciuta». Sono migliaia, ogni anno, i profughi in fuga dalla guerra civile che devasta la Somalia, dall’Etiopia e dalla dittatura eritrea: solo tra gennaio e ottobre dello scorso anno, circa 43mila persone (13mila somali e quasi 30mila etiopi) hanno compiuto il pericoloso viaggio attraverso il Mar Rosso o il Golfo di Aden a bordo di vecchie carrette, secondo quanto ha riferito l’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (Acnur). E in centinaia muoiono durante la traversata: sempre secondo l’Acnur, nel 2008 circa mille persone sono affogate o disperse in mare. «Una tragedia umana di enormi proporzioni che si svolge da anni», l’ha definita l’Acnur. Dal Sinai, intanto, non trova soluzione il dramma dei profughi eritrei sequestrati da oltre un mese dai beduini Rashaida che, dopo le liberazioni degli scorsi giorni, tengono prigioniere ancora una cinquantina di persone, segregate in un container sotterraneo ad Arish, fra cui tre donne incinte. «Siamo preoccupati in modo particolare per una ventina di loro: non hanno soldi per pagare il riscatto né parenti che li possano aiutare», spiega don Mosè Zerai direttore dell’agenzia Habeshia che da settimane mantiene un contatto telefonico con i profughi.  Ma c’è un altro fatto che preoccupa il sacerdote eritreo: «Israele non concede facilmente lo status di rifugiato. La nostra speranza è che venga concesso loro un documento di soggiorno per motivi umanitari». Nel Paese, inoltre, cresce l’intolleranza nei confronti dei migranti africani e il governo di Tel Aviv ha in programma di costruire un centro di detenzione per migranti (10mila posti) al confine con l’Egitto in cui rinchiudere gli stranieri che varcano illegalmente il confine. Una buona notizia arriva intanto dal deserto del Sinai: i capi delle tribù beduine della regione firmeranno il prossimo 15 gennaio un accordo per condannare il traffico di esseri umani e assicurare la loro collaborazione con le autorità governative e locali per contrastarlo. L’annuncio viene dal Gruppo EveryOne. «Abbiamo scritto ai capi tribù per sollecitarli su questo problema», spiega Roberto Malini, co-presidente del Gruppo. All’appello ha risposto il capo della tribù al-Tarabin, una delle più antiche e numerose: gli anziani del clan hanno dichiarato che «si oppongono al traffico di esseri umani e sperano non di non vedere le loro aree tribali usate dagli schiavisti». Il loro impegno ha poi coinvolto altre tribù beduine che sottoscriveranno l’accordo «per vietare il passaggio dei trafficanti sulle loro terre e combattere il fenomeno», conclude Malini.
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