giovedì 23 dicembre 2021
In Myanmar 100 dispersi nell’ennesima frana in una miniera in cui si estrae la giada È solo uno dei sistemi usati dal regime golpista per finanziarsi aggirando l’isolamento
La zona della tragedia, nello Stato di Kachin, con le decine di parenti delle vittime in attesa di notizie

La zona della tragedia, nello Stato di Kachin, con le decine di parenti delle vittime in attesa di notizie - Ansa

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Una nuova sciagura ha colpito ieri l’area mineraria di Hpakant, in Myanmar. La squadra di soccorso impegnata nelle ricerche ha segnalato il bilancio di un morto e fra 70 e 100 dispersi (per i quali le speranze di sopravvivenza sono ridotte quasi a zero), con almeno 25 feriti ricoverati in ospedale. Ancora una volta una tragedia annunciata che interessa un’area nello Stato Kachin, all’estremo settentrione del Paese, nota per l’abbondanza di giada (di giadeite, in realtà) ma anche per il gran numero di disgrazie connesse con le condizioni ambien- tali, la mancanza di sistemi di sicurezza e la rapacità dello sfruttamento che ha fatto di un’area montana dalla bellezza selvaggia un landa dall’aspetto lunare dove incidenti mortali sono cronaca quasi quotidiana.

Una decina di minatori sono ancora dispersi per uno smottamento avvenuto pochi giorni fa, ma la maggiore disgrazia finora registrata è quella del 2 luglio 2020 quando il crollo della montagna sovrastante la miniera di Wai Khar creò un’ondata di fango e detriti nel bacino sottostante che seppellì e uccise almeno 170 lavoratori. La maggior parte delle miniere di Hpakant sono illegali e questo garantisce lo sfruttamento di una manodopera senza tutele, retribuita, i più fortunati, con una parte minima di quanto recuperato. Si calcola che 400mila individui – disperati che strappano alla roccia briciole di un benessere che non sarà mai davvero loro – siano impegnati annualmente nel recupero di giadeite di cui il Myanmar estrae il 70-90 per cento del totale mondiale indirizzandola anzitutto oltreconfine, in Cina. Gli ingenti proventi dal traffico (come pure quello di oppio, metanfetamine, legname e gemme) sono anzitutto nelle mani dei militari e dei loro intermediari e acquirenti cinesi.

Questo spiega la relativa impermeabilità del regime alle pressioni e sanzioni internazionali. Le forze armate birmane restano un sistema autoreferenziale con ampie possibilità economiche e risorse esclusive. A confermarlo la stretta di questi giorni sui mercati delle pietre di Mandalay e la proibizione dello smercio online di giada, con il fermo di almeno 300 individui.

D’altra parte, commercianti e intermediari sono sottoposti alle pressioni della resistenza affinché non vendano sul mercato legale, finanziando la giunta militare che controlla il Paese dal primo febbraio. Le centinaia di milioni di dollari di valore delle transazioni coinvolte nel giro di vite sono solo la punta dell’iceberg di un commercio della giadeite valutato in almeno 30 miliardi di dollari l’anno, a tal punto importante da costringere a cooperare alla sua gestione rivali storici come le milizie Kachin e i militari birmani che altrove nel Kachin si confrontano con le armi.

Problema che non preoccupa l’India a caccia di affari: ieri il ministro degli Esteri indiano, Harsh Vardhan Shringla, è volato in Myanmar. Per il rappresentante del governo indiano una mossa indirizzata al dialogo con la giunta e «tutte le parti» coinvolte nella crisi birmana, ma per l’opposizione la «mano tesa» di New Delhi verso un regime che sa di potere giocare a proprio favore la rivalità tra Cina e India che ha in Myanmar uno snodo essenziale.


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