giovedì 3 novembre 2022
Una donna ha allestito una rete solidale nello scantinato per chi ha perso la casa o per i profughi dell’Est. A tutti distribuisce i pacchi viveri donati dall’organizzazione / Video
Un volontario Caritas tra gli anziani dei villaggi intorno a Borodyanka

Un volontario Caritas tra gli anziani dei villaggi intorno a Borodyanka - Gambassi

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La fotografia in bianco e nero di una donna con i capelli a caschetto è accartocciata sopra frammenti di vetro e brandelli d’intonaco. Anatoliy Mazurk la raccoglie in ciò che resta del suo appartamento. «È mia madre da giovane», dice mentre appoggia l’immagine su una mensola impolverata. Poi entra in quello che era il soggiorno e adesso è una stanza dove cassetti divelti, piume di un materasso scoppiato, vestiti e giornali mischiati a calcinacci riempiono il pavimento e si accumulano sotto le finestre fracassate. «Ecco il quadro che avevo dipinto. Almeno il ritratto di mia figlia si è salvato», dice alzandolo da terra. Per l’anagrafe vive ancora al civico 371 di via Tsentralna a Borodyanka, anche se della sua palazzina ne resta la metà. Perché a marzo un missile russo ha centrato il quarto piano, due sopra “casa Mazurk”. Sono morti in dieci, quelli del «lato destro del condominio» che non esiste più: tutto crollato.

Lui si è salvato perché era uscito. E una volta la settimana torna fra i detriti che custodiscono i suoi ricordi e che protegge con una parete di truciolato sistemata al posto del portone d’ingresso andato a fuoco. Come gran parte delle palazzine intorno, quelle che si affacciano nel principale viale del Comune a trenta chilometri da Kiev. L’hanno ribattezzata la “strada nera”. Perché tutta, o quasi, è stata bombardata e i segni delle esplosioni macchiano le facciate. Nessuno sa quanti siano stati gli uccisi: forse più di un migliaio.
È un insegnante in pensione, Anatoliy. E uno dei 2.300 “senza tetto” della città martire. O meglio, «uno di sopravvissuti che da sette mesi non hanno più la casa», racconta Irina, energica donna che chiamano la “mamma del paese”.

Fra marzo e aprile i 12mila abitanti sono rimasti occupati dall’esercito di Mosca che avanzava verso la capitale. Ma in queste zone la corsa russa si è fermata fino alla ritirata. «Così ce l’hanno fatta pagare. E le conseguenze continuiamo a sentirle eccome», dice Anatoliy che ha trovato riparo dalla sorella. Perché Borodyanka è ancora una cittadina dove si vive fra i ruderi. E chi ha perso tutto bussa allo scantinato di Irina. A lei si deve una rete solidale creata per soccorrere i vicini di casa che la casa l’hanno vista distruggere. E per dare una mano agli sfollati. Può apparire paradossale ma in mezzo alle rovine di Borodyanka si approda giorno dopo giorno dall’Est dell’Ucraina per fuggire dalle terre contese dove le bombe sono all’ordine del giorno.

Macerie a Borodyanka

Macerie a Borodyanka - Gambassi

Come Alina che ha lasciato Zaporizhzhia. Il volto è rigato dalle lacrime quando entra nel negozio dismesso dove Irina ha allestito il “punto aiuti”. «Non ho più nessuno. Mi è rimasto solo l’ex marito che sta qui», singhiozza per giustificare il suo arrivo. Si presente anche Petro. Fatica a camminare. «Sono stato ferito dai ceceni, giunti qui per primi. Erano brutali. Sparavano a chiunque vedessero in giro». Lo hanno colpito a una gamba. «Fra queste mura – confida Irina – siamo tutti uguali: non c’è differenza se sei di Borodyanka o un profugo. Chi ha bisogno è benvenuto».

Quello che resta dopo le bombe in una casa a Borodyanka

Quello che resta dopo le bombe in una casa a Borodyanka - Gambassi

Non è un caso che la Caritas-Spes di Kiev abbia fatto della signora dal volto deciso un suo referente. «Servono persone così, che in maniera disinteressata si facciano carico dei poveri di guerra», racconta Alexander Voylobrov, volontario e trascinatore della Caritas, che scarica le provviste da un pulmino giallo. Lei chiama e i “pacchi viveri” arrivano. Fin nei villaggi dimenticati dove il tempo sembra essersi fermato all’Urss degli anni Sessanta ma dove i missili hanno portato il conflitto di Putin. Lo sa bene Anna, 85 anni e la vita passata a Mitriuka, una manciata di case sperse fra le campagne. Sul ciglio della strada aspetta il furgone Caritas. La sua casa era la seconda appena si entra nel paese: una bomba l’ha rasa al suolo e da allora è una rifugiata dai dirimpettai che l’hanno adottata. «Sono nata con la guerra e non vorrei morire durante la guerra», sussurra.

Borodyanka è anche questo. Nome meno noto di Bucha o Irpin, che sono a una manciata di chilometri, ma che racchiude un trauma in cui non si vedono segni di rinascita. Troppo profonda la distruzione per provare a ricostruire. «Come on, journalist», avvertono due militari. Aprono lo sportello di un pick-up verde che partirà verso le strade senza asfalto. In un terreno abbandonato a cinque chilometri dal centro un cratere dice dove si trovavano i carri armati e i lanciarazzi da cui partivano i colpi che hanno devastato la cittadina. «Ma qui è precipitato anche un velivolo del nemico che la nostra resistenza ha abbattuto», rivelano i soldati, quasi a voler vendicare le atrocità subite dalla gente. Poi il pick-up entra nei boschi. Rallenterà quando incontrerà una squadra di colleghi a caccia di mine. «È pieno, ne abbiamo già trovate migliaia», fa sapere uno degli specialisti con il metal detector in mano. Un attimo e comincia a suonare. «I russi non se ne sono mai andati. E anche così vogliono continuare a ucciderci».

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