venerdì 8 febbraio 2013
Il Messico è sotto choc. Sospetti sui narcos: l’anziano sacerdote era stato minacciato. Padre José Flores Preciado è stato pestato a morte da una banda di malviventi che si è introdotta nella chiesetta del Cristo Re: aveva 83 anni. Anche la brutalità richiama lo «stile» dei cartelli.
COMMENTA E CONDIVIDI
​«L’ho visto martedì. Era rimasto fino a tardi qui nella Basilica Menor di Colima a confessare. Come faceva spesso. Non immaginavo che non ci saremmo più rivisti». Padre Jesús Mendoza Preciado è commosso. Ha saputo da qualche ora della morte dell’amico e sacerdote, padre José Flores Preciado, che si è spento in ospedale all’alba di ieri, dopo un giorno di agonia. «Lo hanno lasciato in fin di vita dopo averlo pestato brutalmente con un mattone. Il suo volto era sfigurato», racconta ad <+corsivo>Avvenire<+tondo>. Il “loro” sotteso si riferisce alla banda di malviventi che martedì notte ha fatto irruzione nella chiesetta del Cristo Re, accanto alla casa del sacerdote. Le autorità locali insistono che sia stato un tentativo di furto finito male. Anche se né dal tempio né dall’abitazione di padre José manca qualcosa. L’identità dei colpevoli è ignota. I sospetti che non si tratti di semplici delinquenti ma di narcos – legati a uno delle due organizzazioni che si disputa la zona, nel Messico occidentale: il cartello di Sinaloa e quello di Jalisco-Nueva Generación – sono tanti e fondati. Primo, la brutalità dell’aggressione nei confronti di un uomo di 83 anni che richiama la ferocia dei narcos: appena una settimana fa i trafficanti hanno massacrato una bimba di 11 anni. Secondo, l’anno scorso il sacerdote era stato minacciato dai cartelli. «Mi aveva raccontato di aver ricevuto telefonate anonime che gli ordinavano di pagare la “cuota”», afferma padre Mendoza. Quest’ultima è la versione messicana del “pizzo”, imposto dalle nostre mafie. Il giro di estorsioni è una delle voci principali del multimiliardario narco-business. Oltre al ritorno economico, il “pizzo” o “cuota” viene utilizzato dai cartelli – proprio come da Cosa Nostra o dalla ’ndrangheta – per “marcare” il territorio. Fino a qualche anno fa, l’area di azione dei trafficanti era ristretta alle zone di frontiera. Dopo sette anni di guerra al narco, i cartelli – tutt’altro che indeboliti – hanno esteso i loro tentacoli nell’intero Messico. Centro – e dunque Colima – incluso. Qui la storica banda di Sinaloa – tra i più potenti gruppi criminali della nazione e del mondo – deve fronteggiare la minaccia dei rivali di Jalisco - Nueva Generación. Le due organizzazioni erano alleate. Poi, dalla scorsa estate l’equilibrio criminale si è rotto: in gioco c’è il controllo del porto di Manzanillo, punto di arrivo dall’Asia dell’efedrina, precursore per la produzione di droghe sintetiche. E, così, sono aumentate le esecuzioni. La pressione dei narcos sul territorio si è intensificata: le estorsioni sono il modo di esprimere l’appartenenza all’una all’altra banda. Nemmeno la Chiesa sfugge alle vessazioni: sono decine, forse centinaia, i preti vittime di estorsioni. «Almeno altri sei sacerdoti della nostra diocesi hanno ricevuto richieste di versare la “cuota”, in genere si parla di 2.5 dollari. Padre José mi aveva detto di essersi rifiutato di pagare. So com’era fatto: non era il tipo da piegarsi ai ricatti criminali», afferma padre Mendoza. Una scelta fatale? Gli indizi ci sono, le prove mancano. In un Paese dove l’impunità oltrepassa il 98 per cento non stupisce. 
© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: