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Missili nel cielo sopra Gerusalemme lanciati dall'Iran venerdì sera - Fotogramma
Cosa succede adesso? Dopo la quarta notte di raid su Teheran, la pioggia di missili sulle città israeliane e le evoluzioni diplomatiche che hanno visto Trump abbandonare il G7 in Canada e il riaffacciarsi di Putin sulla scena, è la domanda che si fanno tutti dopo i primi cinque giorni l'attacco di Israele sull'Iran. Lo scenario è incerto ma caratterizzato da “linee rosse” ben visibili che sono state ampiamente superate da entrambe le parti. Queste sono le tre questioni che gli esperti invitano a tenere in considerazione per ipotizzare l’evoluzione del conflitto iniziato la notte del 13 giugno.
COLPIRE IL PETROLIO E IL GAS
Israele ha ancora molta strada da fare se vuole smantellare le strutture nucleari iraniane. Secondo alcuni analisti militari la distruzione totale dei siti ben nascosti e fortificati in tutto il Paese è pressoché impossibile. Per lo meno adesso e senza l’aiuto dei governi amici di Tel Aviv. È per questo gli attuali e i prossimi attacchi riguardano altri punti nevralgici del regime iraniano, come le infrastrutture energetiche. Nel mirino del Mossad e del caccia ci sono in particolare i gangli petroliferi. Speculare potrebbe però essere anche la estensione del fronte da parte di Teheran. Il regime ha minacciato con chiarezza di colpire le basi regionali degli alleati di Tel Aviv: l’Iran ha avvertito Stati Uniti, Regno Unito e Francia che le loro basi e navi nella regione «saranno prese di mira se contribuiranno a fermare gli attacchi di Teheran contro Israele». Ipotesi che spingerebbe però Trump (come ha ribadito in due occasioni domenica) a scendere in campo.
LA CACCIA AL "BERSAGLIO GROSSO"
Khamenei è ormai il bersaglio finale. L’entità dell’attacco di Israele contro l’Iran e la scelta dei bersagli dell’operazione, comprese figure chiave nella catena di comando militare del Paese e scienziati nucleari, rivela così un’ambizione più a lungo termine. La tattica del far cadere una dittatura smontando il vertice è stata del resto adottata da Israele a Gaza con l’uccisione del leader di Hamas Yahya Sinwar (e di suo fratello Mohammed) e in Libano dove nel 2024 venne fatto fuori il numero uno di Hezbollah, Hassan Nasrallah. La fine dell’era di Bashar al-Assad in Siria l’anno scorso e di Saddam Hussein in Iraq nel 2003 dimostrano che anche le dittature finiscono. Secondo analisti, Netanyahu di Khamenei vuole, letteralmente, la testa. Potrebbe farcela? L’ipotesi che in tanti ormai avanzano è invece quella della fuga («imminente») dell’ayatollah verso un esilio russo, come Assad e famiglia. E una vita da leader sciita all’estero sulle orme parigine di Khomeini. Ma è ancora, probabilmente, presto dire che ciò possa avvenire.
LE INSURREZIONI
È parte di questo piano anche la spinta all’insurrezione. Le parole con cui Netanyahu si è rivolto agli iraniani poche ore dopo l’inizio degli attacchi non lasciano margini all’interpretazione: «Il regime islamico, che vi opprime da quasi 50 anni, minaccia di distruggere il nostro Paese», ha sottolineato in un discorso video. Il premier israeliano ha spiegato che la determinazione con cui Israele intende eliminare il «pericolo esistenziale» rappresentato dall’Iran per la sua nazione fa il paio con la necessità di ridare all’Iran la libertà. «Il regime non sa cosa lo ha colpito, né cosa lo colpirà. Non è mai stato così debole. Questa è la vostra opportunità – ha insistito il premier – per alzarvi e far sentire la vostra voce». Non va dimenticato tuttavia che tutti i tentativi di insurrezione avvenuti in Iran negli ultimi anni, gli ultimi degni di nota sono quelli registrati dopo la morte di Mahsa Amini tra il 2022 e il 2023, sono stati soffocati. Sui tetti di Teheran per il momento sventola soltanto la bandiera rossa, simbolo della vendetta