mercoledì 20 ottobre 2021
I combattimenti sono sempre in più intensi nel Nord del Paese e l'area è isolata da quasi un anno. Impossibile fare arrivare gli aiuti umanitari
Un profugo etiope in fuga dai combattimenti nel Tigrai mentre fugge in Sudan attraversando il fiume Setit che segna il confine

Un profugo etiope in fuga dai combattimenti nel Tigrai mentre fugge in Sudan attraversando il fiume Setit che segna il confine - Reuters

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Ne uccide più la fame che le bombe nella guerra civile fratricida oscurata e dimenticata in Etiopia settentrionale. Intanto la controffensiva di terra e d’aria lanciata da Addis Abeba due settimane fa per riprendersi il Tigrai ha toccato l’apice con i bombardamenti che hanno toccato dopo mesi il capoluogo Macallè provocando tre morti e molti feriti. La notizia è stata confermata da entrambi i contendenti.
Dal punto di vista umanitario, dopo 11 mesi di blocco di viveri e farmaci che passano col contagocce, la situazione è sempre più drammatica, con circa mezzo milione di persone a rischio di morte per carestia.

All’ospedale Ayder di Macallè, quello meglio rifornito della regione, i medici che abbiamo potuto raggiungere al telefono confermano che 24 persone ammalate di diabete sono morte per mancanza di farmaci ed è impossibile somministrare cure adeguate ai piccoli pazienti ricoverati per malnutrizione acuta.

I sanitari, che mantengono contatti con i colleghi delle strutture delle altre città e delle aree rurali, denunciano una situazione complessiva peggiore. Il black-out comunicativo voluto dal governo centrale – zero Internet, telefono e viaggi in molti distretti tigrini – che ha caratterizzato la guerra fin dall’inizio isolando la regione rendono molto difficile delineare un quadro dettagliato anche se giungono le prime immagini di bambini allo stremo anche fuori Macallé.

Questa immagina straziante, che Avvenire ha ricevuto da fonti protette e ha deciso di pubblicare nonostante la sua drammaticità, documenta la malnutrizione nelle zone rurali

Questa immagina straziante, che Avvenire ha ricevuto da fonti protette e ha deciso di pubblicare nonostante la sua drammaticità, documenta la malnutrizione nelle zone rurali - .

Ocha, agenzia Onu che coordina gli aiuti, ha reso noto che l’altra settimana sono giunti in Tigrai 211 camion di aiuti. Ancora insufficienti. Il cibo è stato infatti distribuito a 145.000 persone, ma per sfamarne 5.2 milioni in stato di necessità occorre raggiungerne 870.000 a settimana.

Altrettanto grave l’emergenza vaccini per 887.000 bambini che aspettano l’antipolio e più di 790.000 che hanno bisogno dell’antimorbillo. La carenza di corrente e carburante rendono difficoltosa la distribuzione. I prezzi del cibo sono alle stelle. Gli accademici dell’università di Gent, in Belgio, applicando i metodi di calcolo del Programma alimentare mondiale e dell’agenzia governativa americana per gli aiuti, Usaid, hanno stimato che in Tigrai ci sono almeno 425 morti per fame al giorno, dimenticati in una carestia nascosta che ricorda quella degli anni ’80, provocata come quella da mano umana.

Abiy Ahmed, il premier etiope cui solo due anni fa veniva assegnato il Nobel per la pace, ha mantenuto la promessa fatta il 28 giugno quando ritirò le truppe da Macallè dichiarando il cessate al fuoco per il periodo della semina dei cereali. Tre mesi. Molti osservatori attribuirono la ritirata alle difficoltà delle truppe etiopi e dagli alleati, l’esercito eritreo e le milizie regionali Amhara negli scontri con le truppe di difesa tigrine (Tdf).

I tigrini rifiutarono il cessate il fuoco e approfittarono del ritiro per riprendersi il capoluogo e contrattaccare nelle terre degli Amhara e degli Afar spostando la linea del fronte. Da allora i combattimenti si sono progressivamente intensificati e Addis Abeba si è riarmata con droni turchi.

Uno scoop della Cnn ha mostrato come abbia usato voli della compagnia di bandiera da e per la capitale eritrea Asmara per trasportare armi. Ma le Tdf resistono e hanno provato a ovest a riconquistare i territori sottratti dagli Amhara confinanti con il Sudan per rompere l’assedio e tentato di spezzare ad est, nello Stato Afar, la direttrice ferroviaria che collega la capitale a Gibuti dalla quale passa il 90% del traffico merci etiope. Abiy ha appena giurato per il secondo mandato ottenuto dopo le elezioni vinte a giugno, la cui regolarità è stata contestata dagli Usa.

Biden ha firmato un ordine per emettere sanzioni contro i belligeranti se non accetteranno le richieste americane di cessate il fuoco immediato con l’apertura di negoziati e l’accesso agli aiuti. Sul fronte diplomatico, il consiglio di Sicurezza Onu è paralizzato dai veti russi e cinesi che ritengono il Tigrai un affare interno etiope.

La Farnesina ha chiesto nuovamente giovedì 14 ad Addis Abeba quello che chiede tutta la Ue, cessate il fuoco, dialogo e accesso agli aiuti mentre L’Alto rappresentante Ue Borrell ha minacciato l’Etiopia di sanzioni per violazioni dei diritti umani. Abiy pareva intenzionato a rimuovere il principale ostacolo al dialogo, ovvero la condanna come gruppo terrorista del partito dominante in Tigrai, gli arcinemici del Tplf, ma finora nulla si è mosso, anzi. Continuano gli arresti etnici di tigrini in Etiopia e i leader Amhara, consiglieri fidati del premier, sono accusati di pronunciare discorsi inquietanti accostando Tplf e popolo tigrino. Per gli esperti richiamano la famigerata Radio mille colline del Ruanda negli anni 90, quella che spinse al genocidio.

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