sabato 17 novembre 2012
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​Per tutto il mondo era diventato il Paese dei blood diamonds, i "diamanti insanguinati". A dieci anni dalla fine della brutale guerra civile che ha devastato la Sierra Leone negli anni Novanta, questa piccola nazione dell’Africa occidentale fatica a togliersi questa etichetta. Anche se il suo presidente Ernest Bai Koroma non si stanca di ripetere che, oggi, quelli del suo Paese sono piuttosto peace diamonds, "diamanti di pace". Anche questo, però, è poco più di uno slogan.È vero, il Paese ha fatto e sta facendo significativi passi in avanti. Eppure, continua a mostrare in maniera ben evidente le ferite aperte di una storia che gronda sangue e sofferenza.Avventurarsi lungo l’unica strada che esce dalla capitale Freetown è un’esperienza tridimensionale: presente, passato e futuro che si sovrappongono e si mescolano nel più confusionario, rumoroso e variopinto dei caos. Ci sono giovani con entrambe le braccia amputate che chiedono l’elemosina con una bisaccia al collo. Sono l’eredità drammatica del conflitto che dal 1991 al 2002 ha letteralmente fatto a pezzi uomini e cose: 120mila morti, quasi metà della popolazione costretta a lasciare le proprie abitazioni, migliaia di bambini rapiti e costretti a diventare brutali ribelli, e migliaia di loro coetanei a cui sono stati amputati gli arti. Ma lungo la strada che attraversa l’immenso quartiere di Kissy c’è anche tutta la Sierra Leone di oggi: quella che cerca di arrangiarsi con piccoli lavoretti e commerci e che prova a supplire alla drammatica mancanza di lavoro con espedienti di ogni tipo, riparando qualsiasi cosa o vendendo di tutto ai finestrini delle auto inesorabilmente bloccate in ingorghi infernali. Una popolazione che con grande fatica, pazienza e spesso con la forza di un sorriso e di una buona dose di umorismo prova a guardare avanti. E poi c’è il futuro. Su quella stessa strada, intasata all’inverosimile, tra ingorghi di auto e carretti, tra migliaia di motorini impazziti e di pedoni che si infilano ovunque, non è raro veder passare enormi Tir che trasportano giganteschi container con manovre acrobatiche. Sono il segno di un’economica che si riprende, di commerci che si stanno rivitalizzando, di uno sviluppo che comincia a dare qualche frutto, di una stabilità che crea fiducia... Certo, le statistiche dell’Undp continuano a collocare la Sierra Leone agli ultimi posti della classifica mondiale dello sviluppo: 180° su 187 Paesi. Oltre il 70 per cento della popolazione vive sotto la soglia di povertà (anche perché la ricchezza presente e passata è mal distribuita), altrettanti sono analfabeti e il 90 per cento dei giovani è senza un lavoro "formale". Il Pil cresce attorno al 5 per cento. Che sarebbe un sogno in Europa, ma è piuttosto modesto per l’Africa.«Dobbiamo costruire una nazione, non distruggerla – dice una delle figure più autorevoli del Paese, Christiana Thorpe, da dieci anni coraggiosa presidente della National Electoral Commission (Nec), la commissione elettorale nazionale che sta faticosamente organizzando le elezioni generali di oggi –. Ci sono stati grandissimi miglioramenti, visibili nel Paese e riconosciuti a livello internazionale. Ma occorre fare molto di più, innanzitutto cambiando la mentalità, creando una cultura del lavoro e dell’onestà, offrendo ai nostri giovani reali opportunità educative, ma anche di impiego, perché possano prendere in mano il futuro della Sierra Leone. Dobbiamo rimboccarci le maniche, essere capaci di costruire qualcosa di nuovo e cogliere positivamente le opportunità che ci si presentano».Anche l’arcivescovo di Freetown, monsignor Edward Tamba Charles, riconosce che «il Paese sta facendo notevoli progressi. Ma occorre fare molto di più. La popolazione non sta adeguatamente beneficiando delle enormi entrate derivanti dallo sfruttamento delle materie prime, anche se si sta facendo molto nell’ambito della costruzione delle strade, nella fornitura di acqua ed elettricità, nei servizi sociali...». Sviluppo, miniere e corruzione sono stati i temi al centro dell’infuocata campagna elettorale che sta portando il Paese verso le elezioni politiche di oggi. Si sfidano il presidente uscente Ernest Bai Koroma dell’All People’s Congress (Apc) e il leader del Sierra Leone People’s Party (Sspp) Julius Maada Bio. Quest’ultimo ha più volte accusato il presidente e il suo governo di corruzione e di uso privato di fondi pubblici, oltre che di aver ridotto i benefici derivanti dallo sfruttamento delle ingenti materie prime di cui dispone il Paese: non solo diamanti, ma anche fero, bauxite, oro…In realtà, la presidenza Koroma è stata una delle più stabili e proficue nella storia tormentata della Sierra Leone. Il Paese ha ripreso molto credito a livello internazionale, mentre sul fronte interno il capo dello Stato ha favorito gli investimenti soprattutto in campo minerario e dell’agro-business, firmando contratti miliardari con società come Africa Minerals, London Mining e la cinese Shandong Iron and Steel per lo sfruttamento del ferro. Il ministero delle Miniere ha inoltre incentivato lo sfruttamento di oro e diamanti nelle regioni di Nord-Est, mentre si intravvedono prospettive anche per il business del petrolio, in fase esplorativa. Il grosso problema resta la grande opacità che riguarda l’operato di molto ministeri e di singoli ministri, nonché la cattiva distribuzione dei proventi derivanti dallo sfruttamento delle materie prime.«La gente qui, a tutti i livelli, non è ancora preparata a pensare in termini di bene comune – commenta Peter Bayuku Konteh, governatore uscente del distretto di Koinadugu, nel Nord della Sierra Leone –. C’è bisogno di maggiore trasparenza agli alti livelli, ma anche di un progressivo e radicale cambiamento di mentalità alla base. La gente comune è ancora troppo impegnata a sopravvivere giorno per giorno, per poter avere una prospettiva più ampia».Eppure, viaggiando nel Paese, è inevitabile notare che qualcosa si muove: cantieri stradali ovunque, interventi nelle scuole e nel settore sanitario, acqua ed elettricità che si stanno diffondendo, piccoli passi nei servizi sociali, potenziamento di Internet… Lo svolgimento di elezioni pacifiche e l’accettazione dei risultati da parte dei diversi attori politici diranno se la Sierra Leone è veramente sulla strada di una lenta ma possibile rinascita.
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