giovedì 24 marzo 2016
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Tutti i pesci hanno bisogno di un mare in cui sguazzare. Ma nelle periferie di Parigi e Bruxelles non si vive il clima omertoso delle periferie dove spadroneggiano mafia e camorra. Stefano Allievi, professore di Sociologia all’Università di Padova, studia da molti anni l’islam in Europa. Dunque, professore, l’islam non ha radici profonde là da dove partono i foreign fighters e i terroristi trovano rifugio? Non c’è il controllo e dominio del territorio di cui, ad esempio, è capace la camorra. Però negli ultimi 30 anni c’è stata una semina, non individuata per tempo e molto pericolosa, che ha determinato una ideologia della separatezza: «Per essere musulmano devi...». Questa ideologia s’è affermata nell’incomprensione di un po’ tutti, politici, giornalisti e studiosi. C’è ancora la convinzione che la seconda generazione di musulmani sarebbe diventata come noi... Non esattamente. Nelle comunità islamiche la seconda generazione si evolve secondo tre linee diverse. La prima: una progressiva secolarizzazione di giovani che non intendono identificarsi con l’islam e si occidentalizzano in usi e costumi. La seconda: giovani tradizionalisti, magari in forma attenuata, sull’esempio dei genitori. La terza, e più interessante, è quella dei giovani che proprio perché figli di una rottura (non sono più né magrebini, né pachistani, né mediorientali...) reinventano per sé un’appartenenza. A questo punto possono scegliere due strade: quella di un islam europeo, moderno e innovatore, ad esempio nel rispetto dei diritti della donna; e quella, altrettanto innovativa anche se in negativo, legata al Daesh. Questi ultimi, sedotti dal Califfato, quale formazione hanno? Molto spesso scarsissima e approssimativa. Sono giovani che non frequentavano le moschee, a volte con precedenti penali, che all’improvviso, indottrinandosi soprattutto sul Web, si radicalizzano. Ricordo il caso di un somalo, figlio della buona borghesia londinese, che tre mesi prima di morire in Siria acquista su Amazon due librini sull’abc dell’islam. La loro è una teologia orribilmente semplificata, fatta di slogan, con pochi rudimenti rozzi del Corano. E funziona. È il frutto della semina salafita: un semplicismo sconcertante. C’è chi vede un parallelismo tra il terrorismo del Daesh e quello delle Br. Un azzardo? No, è sensato. Nel mondo giovanile c’è sempre una vasta corrente di simpatia verso i combattenti. Un’affinità elettiva: si condividono i valori di fondo, pur senza impugnare le armi. La sinistra italiana si è rapportata con le Br secondo tre fasi: all’inizio il terrorismo era opera di infiltrati; poi erano “compagni che sbagliano”; alla fine, specialmente dopo l’omicidio di Guido Rossa, criminali e basta. Il mondo islamico segue un percorso analogo: prima, il Califfato è una creatura di Cia e Mossad; poi, di fratelli che usano mezzi sbagliati ma per fini nobili; infine sono semplici criminali da fermare. Molti musulmani sono già pervenuti alla terza fase. Però il Daesh può contare su molti più militanti. E controlla un vasto territorio... Infatti. Immaginiamo, per assurdo, che le Br avessero conquistato uno Stato, anche piccolissimo. Avrebbero avuto molti più arruolati. Avrebbero rappresentato l’utopia concretizzata, il sogno divenuto realtà. Che poi quel sogno fosse stato più un incubo alla Pol Pot che un Paradiso in terra, beh, questa è un’altra questione. © RIPRODUZIONE RISERVATA Stefano Allievi, docente di Sociologia all’Università di Padova, studia da molti anni la diffusione dell’islam nel continente europeo
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