venerdì 4 maggio 2012
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È durato meno di un giorno il sogno americano di Javier, 15 anni, nato e cresciuto a San Pedro di Sula, la città più violenta dell’Honduras. Il ragazzino aveva appena attraversato la Linea, la frontiera che separa il Messico dagli Stati Uniti, ed era arrivato a Houston quando è stato intercettato dalla “migra”, l’onnipresente polizia di confine. Javier è stato rimpatriato, altri coetanei del suo gruppo, però, sono riusciti a fuggire. Alcuni, invece, si sono persi per strada, oltre tremila chilometri percorsi a piedi o sui tetti dei treni merci. «Ne ho cambiato dieci», racconta Javier, che per compiere da solo l’intero viaggio ha impiegato un mese. È drammaticamente banale la causa del viaggio: «Sono partito perché i miei non avevano lavoro, e a casa avevo sempre fame». Miseria e violenza – entrambe in aumento – in America centrale spingono con sempre maggior forza i minori a emigrare, soli, senza genitori o altri parenti. Da ottobre 2011 a marzo 2012 sono quasi 5.300 i minori entrati negli Usa senza familiari al seguito, ben il 93 per cento in più rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente. Il ministero della Sanità statunitense ha rivelato che nel solo mese di marzo sono arrivati 1.390 piccoli migranti. La maggior parte proviene da Honduras, Guatemala, Salvador, Messico e ha più di 14 anni. Ma c’è un 17 per cento che ne ha meno di 13. Nessuno sa con esattezza quanti bambini si perdano nel tratto messicano del tragitto. Ogni anno, almeno 20mila migranti vengono sequestrati dai narcos che controllano gran parte del territorio. Il console del Salvador a Tapachula, Luis Perdono Vidal, ha denunciato vari casi di piccoli rapiti dalle organizzazioni criminali. «Sequestrano le bambine e chiedono ai parenti negli Usa 10mila pesos o più (circa 600 euro) di riscatto per restituirle. Se una donna migrante rischia lo stupro, immaginiamo che cosa può accadere a una ragazzina».
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