venerdì 25 febbraio 2022
Anzhela è a Slovjansk: «Mi hanno svegliato le bombe Ci sono file in farmacia e negli spacci». Marina, da Kramatorsk: «Hanno fatto saltare l’aeroporto»
Il lavoro dei soccorritori nelle aree colpite dai mortai nei giorni precedenti nel Donbass

Il lavoro dei soccorritori nelle aree colpite dai mortai nei giorni precedenti nel Donbass - Ansa

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Una giornata terrificante, cominciata con i boati delle esplosioni quando ancora erano sotto le coperte, a letto, e terminata al calare del sole in rifugi o cantine private. Nel mezzo, ore di choc.. Perché, se pure nell’Est un’azione militare era attesa, davvero non la si immaginava di questa portata. «Sapevo che avrebbero attaccato dopo il riconoscimento delle Repubbliche, ma pensavo che sarebbe accaduto solo nella nostra regione. E che ci sarebbero state trattative», ci racconta Anzhela, 29 anni, di Slovjansk, città nel Donbass ucraino, martoriata già nel 2014. «Alle 4.50 sono stata svegliata dalle esplosioni, per scoprire che stava accadendo anche altrove, contemporaneamente».

Le ore successive sono state segnate, come ovunque, da code agli sportelli delle banche, alle stazioni di servizio. «Mio fratello non trova la benzina. Mia madre e io siamo andate a comprare cibo. Ci sono file in farmacia e negli spacci di cereali. Non siamo riuscite a trovare le candele». Anzhela è in contatto con la cugina che vive vicino Kherson, tra Mariupol e Odessa. «Si è rifugiata con il suo bambino nel seminterrato. Per tre volte è corsa giù. Dice che l’esercito russo non lontano dal villaggio spara verso il capoluogo. Sembra abbiano issato una bandiera sul municipio di New Kakhovka». Da Sloviansk c’è chi cerca di andare via. «Ma non ha senso, ovunque c’è pericolo. Nelle chat locali c’è chi chiede passaggi in auto per tornare qui da Kharkiv e chi condivide gli indirizzi dei rifugi». Lei resterà a casa, in cantina. «Dalle 17 le autorità dicono di non uscire e di non accendere le luci, in modo che il nemico non veda dove sparare».

Raggiungiamo al telefono a Kharkiv Leonid Nikolaevich della Ong Proliska, mentre è in un negozio a fare provviste. «Sentiamo bombardamenti costanti, l’aeroporto è stato colpito» diceva in mattinata. «Sembra si muovano carri armati e piovono razzi. C’è elettricità ma in alcuni quartieri manca l’acqua. Devo mettere al sicuro i miei figli. I due maggiori, di 11 e 9 anni, nel 2014 hanno visto l’inizio della guerra e vissuto i bombardamenti a Luhansk, città di mia moglie». In sottofondo si sente lei che aggiunge: «E ora accade ancora una volta». A Kramatorsk, che ha sostituito Donetsk come capoluogo del Donbass rimasto ucraino, contattiamo Marina Martynenko, psicologa che si occupa dei bambini lungo la linea di contatto. L’avevamo vista al lavoro a luglio a Myronivskyi, cinque chilometri dal fronte. «Quel centro oggi è stato colpito duramente» dice subito. «Sto preparando la mia roba, dormirò in un rifugio. A Kramatorsk hanno fatto saltare l’aeroporto». Lo scalo, praticamente in città, è stato centrato «alle 5 e alle 6, poi i media hanno riferito dell’abbattimento qui di un aereo russo» racconta padre Petro, missionario dei grecocattolici del Verbo Incarnato. «Abbiamo una cantina, c’è il necessario, eravamo già stati invitati ad essere pronti al peggio. In gruppi Messenger si condividono informazioni, la gente sa come muoversi, lo ha già fatto nel 2014». Nel tardo pomeriggio, non si sentono più colpi. «Si dice che nella notte riprenderanno, col buio ci aspettiamo nuovi attacchi».

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