martedì 8 febbraio 2011
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La croce e la mezzaluna insieme in piazza Tahrir, Vangelo e Corano innalzati a due mani dai dimostranti anti-Mubarak, in mezzo ad applausi scroscianti. Domenica è stata la «Giornata dei martiri» in ricordo delle vittime della repressione (trecento morti in tutto il Paese) e le immagini di cristiani e musulmani uniti nella protesta hanno fatto il giro del mondo. C’è stato un momento di preghiera (non una messa, come ha riferito invece la tv al-Jazeera»), tenuta dagli anglicani, una presenza minoritaria ma dalle salde radici in Egitto. Sono loro ad aver organizzato la manifestazione, cui hanno aderito alcuni cristiani copti. L’antica Chiesa orientale fondata da San Marco conta tra 8 e 10 milioni di fedeli in Egitto, vale a dire un decimo della popolazione. Il suo capo, il Patriarca Shenuda III, li ha esortati a stare alla larga dalle dimostrazioni contro Mubarak e aveva rivolto un elogio al presidente per «le giuste decisioni» annunciate dopo l’esplosione della rivolta.I copti stanno dalla parte del rais? E come giudicano il movimento d’opposizione nato dal basso due settimane fa? L’abbiamo chiesto a Samia Sidhom, 62 anni, direttrice editoriale di el-Watani (la mia patria), storico settimanale copto fondato nel 1958 da suo padre Antoun, grande figura d’intellettuale e di patriota. La sede è all’angolo di piazza Tahrir, ma Samia non ha mai smesso di recarsi al giornale, neppure quando infuriava la battaglia.Signora Sidhom, lei ha preso parte alle manifestazioni di protesta? No, ma all’inizio non ero contraria. Mi sono sentita in grande sintonia con le richieste di libertà e giustizia sociale avanzate dai giovani in modo molto dignitoso. Sono contraria a quel che sta succedendo adesso perché penso che le misure annunciate dal presidente Mubarak e la creazione di un nuovo governo vadano nella giusta direzione. Si è aperta una fase di transizione che va gestita con grande senso di responsabilità da parte di tutti per evitare che si precipiti nel caos e nella guerra civile. Il Paese deve ritornare al più presto alla normalità.Quindi, a suo avviso, non ha più senso la protesta? Il movimento d’opposizione nato il 25 gennaio aveva un carattere spontaneo e pacifico. Ma già tre giorni dopo, nel «venerdì della collera», sono scesi in piazza dei violenti. I radicali islamici hanno deciso di cavalcare la protesta giovanile al fine di destabilizzare il Paese e preparare un cambio di regime. Non è niente di nuovo, chi conosce la nostra storia sa che la stessa cosa era successa nel 1952, subito prima della Rivoluzione di Nasser (o del colpo di Stato, dipende dai punti di vista).Si riferisce ai Fratelli musulmani?Io parlo dei movimenti islamisti, che sono parecchi. Ci sono i sufiti, ci sono i gruppi collegati agli Hezbollah ed ai palestinesi. I Fratelli musulmani rappresentano l’organizzazione più forte e strutturata, ma non solo i soli.Il suo giudizio è condiviso dalla comunità copta d’Egitto? Siamo 8 milioni di persone ed è ovvio che tra noi ci siano punti di vista differenti. La Chiesa copta non è omogenea politicamente. In questi giorni mi capita spesso di discutere con altre persone che vogliono un cambiamento radicale dopo trent’anni di leggi speciali, regime d’eccezione e libertà vigilata. Li capisco. Però mi lasci dire una cosa: al di là di chi pensa che Mubarak deve andarsene e chi invece ritiene che deve restare, c’è una sensibilità comune.E sarebbe?La strage di Capodanno ad Alessandria e le violenze contro i cristiani sono ferite sempre aperte nel cuore della nostra comunità. Tutti temiamo un vuoto di potere che verrebbe subito riempito dal fanatismo islamico, come in Iran, o da una guerra civile come in Iraq. Nell’uno e nell’altro caso noi cristiani saremmo le prime vittime. Ecco perché guardiamo oltre le contrapposizioni e pensiamo al futuro: vogliamo libertà e democrazia, non l’imposizione della sharia e uno Stato teocratico.
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