martedì 9 dicembre 2008
Il politologo non ha dubbi: «In strada sono scesi studenti di ceti relativamente agiati, perlopiù della piccola e media borghesia»
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«Quanto sta accadendo non è il frutto di un vero disegno. Si tratta di esplosioni di violenza cieca, non organizzate e soprattutto senza vere e proprie finalità politiche. Proprio per questo, esse potrebbero spegnersi in modo quasi spontaneo nel volgere di pochi giorni». Ad esserne convinto è il politologo George Prevelakis, fra i maggiori conoscitori dell’odierna società greca. Dopo tanti anni d’insegnamento in patria, è oggi docente alla Sorbona di Parigi.Professore, qual è l’origine di queste violenze?Sono entrate in gioco due componenti. La prima, già nota da tempo, è l’esistenza di una piccola comunità di anarchici che controlla una sorta di proprio territorio attorno al Politecnico di Atene. In questa zona, ancora abitata dal mito della rivolta studentesca del 1973 contro il regime dei colonnelli, la polizia ha l’ordine di agire col contagocce, nonostante la perenne guerriglia rilanciata dagli anarchici. Insultati di continuo, i poliziotti mancano talvolta di sangue freddo, com’è capitato in occasione dell’incidente che ha fatto da scintilla alle violenze. Ma questa volta, ed è la novità, il fuoco si è propagato in modo generalizzato.Perché?   È la seconda componente. Sono scesi in strada dei giovani di ceti relativamente agiati, perlopiù della piccola e media borghesia, che hanno dato eco alle violenze anche nelle altre città del Paese. Non siamo di fronte a una sorta di gioventù proletaria e sfavorita.Cosa li ha spinti ad associarsi agli anarchici?Si tratta della generazione che riassume maggiormente le contraddizioni di una società greca in piena trasformazione. Da Paese mediterraneo paragonabile per certi aspetti al Sud dell’Italia, la Grecia sta abbracciando il modello europeo di società centrata sui consumi, con una dissoluzione molto rapida dei valori tradizionali imperniati sulla solidarietà familiare. Anche le ideologie e l’impegno politico giovanile, ancora forti negli anni Ottanta, sono ormai in caduta libera. Al posto di tutto ciò, resta un disorientamento molto grande.Un disorientamento che da solo pare insufficiente a spiegare tanta violenza?  Certo. C’è anche una frustrazione profonda rispetto alle attese che questa nuova società consumista aveva di colpo generato. Per tanti giovani greci, l’orizzonte è oggi più cupo. Faticano ad inserirsi nel mondo del lavoro, anche a causa delle lacune del sistema educativo e di una congiuntura economica sempre meno favorevole. Questa frustrazione di un’intera generazione non ha trovato più gli argini del sistema tradizionale di valori.Le autorità sembrano spiazzate. Che ne pensa?  L’impreparazione rispetto a simili avvenimenti è saltata agli occhi di tutti. Ma il funzionamento dello Stato greco paga l’eredità di decenni di errori, come si è visto anche due anni fa di fronte alla catastrofe degli incendi forestali. La scarsa efficacia della polizia non è certo l’eccezione. Ma al contempo, c’è da dire che la polizia cerca assolutamente di evitare qualsiasi nuovo incidente ed è anche questo ad allungare i tempi di ogni intervento. In ciò, gioca pure una specificità tutta greca, ovvero il ricordo ancora vivo delle repressioni poliziesche della dittatura.Occorre temere nuove propagazioni?La violenza vera e propria pare destinata a spegnersi rapidamente. Ma la tensione sociale e politica rischia invece di perdurare, anche perché partiti e sindacati sono tentati di gettarsi nella mischia.E il governo pagherà lo scotto?   Su questo punto, resto molto più prudente. In generale, questo genere di situazioni violente è più favorevole al partito conservatore che alle sinistre. Se manterrà il sangue freddo, paradossalmente, il governo potrebbe uscire rafforzato.
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