mercoledì 6 marzo 2013
​Dopo dieci anni, la vecchia leadership si prepara a uscire di scena per lasciare spazio alla coppia Xi-Li: «La nazione deve ora cambiare il modello di crescita: meno legato all’esportazioni, più ai consumi interni»
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​Più delle dispute territoriali che la oppongono ai (riottosi) vicini di casa, la Cina sembra ossessionata da un altro fantasma: quello della instabilità interna, del possibile frantumarsi di quella crosta sotto la quale si agitano i malesseri e le convulsioni del gigante asiatico. Si impennano ancora – come certificato dal primo giorno di lavori a Pechino dell’Assemblea nazionale del popolo che incoronerà ai massimi vertici del Paese Xi Jinping (presidente) e Li Keqiang (premier) e congederà definitivamente l’era di Hu Jintao e Wen Jiabao – le spese militari cinesi. Ma ancora una volta, e per il terzo anno consecutivo, quelle destinate alla sicurezza interna superano la voce «ammodernamento delle forze militari». I numeri sono inquietanti. Le spese militari aumenteranno del 10,7 per cento, toccando quota 740,6 miliardi di yuan (119 miliardi di dollari, il 5,4 per cento della spesa totale). Il bilancio di sicurezza interna salirà a un ritmo leggermente più lento, del 8,7 per cento, a 769,1 miliardi di yuan. L’ennesimo boom che si giustificare con un solo dato: il numero di “incidenti di massa”, registrato dal governo cinese, è cresciuto da 8.700 nel 1993 a 90mila nel 2010. L’anno scorso la corsa del budget militare aveva registrato una crescita dell’11,2%. Il Dragone ha il secondo più grande bilancio militare al mondo dopo gli Stati Uniti, che hanno speso quasi sei volte di più rispetto alla Cina (677,2 miliardi dollari, in calo del 3 per cento). Per analisti e osservatori internazionali, le cifre messe nero su bianco dal governo cinese sono però ampiamente rimaneggiate. Truccate. Al ribasso.Ieri, intanto, a Pechino è stata l’ultima volta di Wen Jiabao. In un discorso lungo oltre 100 minuti, Wen ha consegnato il «rapporto di lavoro» (29 pagine già approvato dalla leadership) ai quasi 3mila delegati provenienti da tutto il Paese. Gli obiettivi indicati? Inflazione non superiore al 3,5%, 9 milioni di nuovi posti di lavoro, crescita del Pil al 7,5%, più welfare. Per l’uomo che ha condiviso negli ultimi 10 anni la stanza dei poteri con Hu Jintao e che si prepara a lasciare la scena alla coppia Xi-Li, la Cina deve «cambiare il modello di crescita», sempre meno legato alle esportazioni e maggiormente centrato sui consumi interni. Una strategia che contiene non poche incognite per il partito. Più benessere diffuso e più consumi potrebbero aprire le porte a un’altra richiesta: più diritti. Resta, infine, l’altro grande vulnus che il regime deve affrontare: la persistenza della povertà. Secondo il ChinaDaily lo scorso anno 23 milioni di cinesi sono usciti dal cono d’ombra della povertà. Ma non basta. Secondo la Banca Mondiale, 170 milioni di cinesi vivono con meno di 1,25 dollari al giorno.
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