giovedì 24 marzo 2016
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Giganteggia, protetto da un polmone verde, l’ospedale militare Konigin Astrid, a una trentina di chilometri dal centro di Bruxelles. Dentro si addensa – nero, potente, composto – il dolore di chi, a distanza di troppe ore dall’esplosione della follia omicida che ha sconvolto la capitale europea, cerca ancora una risposta. Cerca ancora un proprio caro. Tra loro, tra i familiari dei dispersi, ci sono anche – assistiti dal personale dell’ambasciata italiana in Belgio – i parenti di Patricia Rizzo. Le tracce della vita della funzionaria Ue italiana di 48 anni si perdono in quel maledetto tunnel sotterraneo, quando la seconda esplosione ha fatto calare il nuovo artiglio del terrore nella metropolitana di Maalbeek. Potrebbe essere, come ammesso dalla Farnesina, la prima vittima italiana della duplice strage Dentro, nel silenzio glaciale dei corridoi asettici, si stanno compiendo le operazioni di riconoscimento dei resti delle vittime della bomba, esplosa a due passi dalle sedi delle istituzioni. « Siamo qui da stamattina (ieri per chi legge) e non sappiamo ancora niente. I genitori di Patricia sono stati fatti salire al primo piano dalla polizia per riempire un formulario. Cercano segni particolari per poterla identificare», ha spiegato Massimo Leonora, cugino di Patricia. «Anch’io stavo per prendere la metro, ma all’ultimo minuto ho cambiato idea e ho preso l’auto, altrimenti probabilmente sa- rei stato coinvolto anch’io nell’esplosione » , è l’amara constatazione di Leonora. Nel racconto dell’uomo, composto e conciso, sono contenuti le informazioni, che come i grani di un rosario, collegano i destini individuali al “tronco” delle generazioni. «I nonni di Patricia, come i miei, sono venuti in Belgio per lavorare nelle miniere e siamo rimasti tutti qui, siamo originari della provincia di Enna, i miei di Calascibetta. Ma abbiamo tutti la nazionalità italiana, perché l’Italia resta il nostro Paese ». «I genitori di Patricia abitano fuori Bruxelles », ha aggiunto. «Io lavoro all’Eacea, l’agenzia della Commissione Ue che si occupa di audiovisivi e fino ad un paio di mesi fa anche Patricia lavorava lì, prima di trasferirsi all’Ercea». La follia omicida di Bruxelles ha disegnato, involontariamente, una geografia che abbraccia mezzo mondo, una babele di lingue e di volti e di storie: sono le vittime del terrore. Solo tra i 270 feriti le nazionalità sono oltre 40: tanti belgi, ma anche 21 portoghesi, 10 francesi, 9 spagnoli, quattro britannici (a cui va aggiunto un disperso che potrebbe essere fra i morti), quattro romeni e quattro marocchini, tre missionari mormoni e un militare americano con alcuni parenti, tre dominicani, due ungheresi, una 40enne hostess indiana della Jet Airways e cittadini della Colombia, dell’India, della Spagna, della Svezia. Sono arrivate anche le prime identificazioni dei 32 morti, e anche in questo caso i lutti hanno tante bandiere. Ci sono due belgi che si trovavano nella stazione di Maelbeek: un ventenne universitario che studiava giurisprudenza a Bruxelles, Leopold Hecht, deceduto nella notte in ospedale, e un funzionario della regione Vallonia-Bruxelles. Sempre nella stazione è morta una donna di origine marocchina, secondo quanto riferito da fonti diplomatiche del Paese nordafricano. È invece deceduta nell’attacco all’aeroporto Adelma Marina Tapia Ruiz, una donna peruviana di 36 anni che risiedeva da nove anni a Bruxelles. La donna era insieme al marito, un giornalista belga, e alle due figlie gemelle, una delle quali è rimasta ferita mentre giocava con la sorellina nel terminal. © RIPRODUZIONE RISERVATA IN FILA. L’attesa dei viaggiatori per i rigorosissimi controlli all’ingresso della stazione centrale di Bruxelles (Xinhua) Patricia Rizzo, l’italiana dispersa (LaPresse)
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