mercoledì 18 maggio 2016
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Era stato rapito il 26 agosto 2011 nella sua Lahore, il cuore culturale e commerciale del Pakistan. Erano trascorsi meno di otto mesi dall’assassinio del padre, Salman Taseer che, della provincia del Punjab di cui Lahore è capoluogo, era stato governatore. La mancanza di libertà per Shahbaz Taseer, ora 32enne, è durata quasi cinque anni, fino al 19 febbraio scorso, quando è fuggito dalla prigionia in Afghanistan. Superata la frontiera pachistana è stato ritrovato l’8 marzo in circostanze non del tutto chiare. Ci sono voluti mesi di riabilitazione, di vita in famiglia («alzarmi e prendere la colazione con mia madre e vedere il suo volto… è stata una sensazione indescrivibile»), prima che trovasse il coraggio di rilasciare la sua prima intervista in in- glese, lunedì, all’americana Cnne ieri al servizio in lingua urdu, quella nazionale del Pakistan, dell’emittente britannica Bbc. «Mi hanno strappato le unghie, tagliato la schiena con lame, messo sale sulle ferite, cucito la bocca, mi hanno affamato». Alla violenza efferata si aggiungeva lo stato di perenne incertezza: l’ostaggio è stato trasferito da un luogo all’altro per sfuggire alle ricerche e alle faide interne alla militanza armata dopo il rapimento da parte di combattenti di etnia uzbeca. Giorni passati a volte «sepolto vivo » ma anche a rischio degli attacchi di droni statunitensi. Almeno due sono avvenuti a poca distanza dal covo: in uno la bomba sganciata dal velivolo non l’ha ucciso per un soffio. Settimane scandite dalle partite del Manchester United, di cui è tifoso, trasmesse alla radio e ascoltate di nascosto persino dai carcerieri. Secondo Shahbaz Taseer, al centro del sequestro non ci sarebbe un intento politico. Non è stato un intento di danneggiare il Partito del popolo pachistano, laico, che già fu di Benazir Bhutto ma anche del padre Salman Taseer. La formazione è invisa agli estremisti perché è favorevole a una revisione della legge antiblasfemia e alla liberazione della cattolica Asia Bibi, in cella innocente da 2.521 giorni. Non ci sarebbe stata nemmeno la volontà di colpire una famiglia considerata un esempio per gli ambienti più liberali. A spingere all’azione i militanti uzbechi sarebbe stata la volontà di ottenere denaro e la liberazione di 25 estremisti incarcerati. Il riscatto – secondo fonti ufficiale – non sarebbe stato, in realtà, pagato né vi sarebbe stato alcuno scambio. Lo scorso novembre, il gruppo di rapitori sarebbe stato eliminato da una fazione taleban e Taseer sarebbe così fuggito con altri in Afghanistan, dove sarebbe stato catturato da taleban locali, condannato a una pena carceraria e detenuto per qualche tempo. A rendere possibile la liberazione, un leader del gruppo che ne avrebbe organizzato il viaggio in motocicletta fino al vicino confine, in modo da raggiungere la provincia pachistana del Balochistan. Dopo il rilascio, Shahbaz Taseer ha raccontato frammenti della sua esperienza utilizzando soprattutto Twitter. Il risultato è un collage di eventi, ricordi, sensazioni, comunicati con ironia e leggerezza, nonostante la durezza della prigionia e certamente il non facile reinserimento nella quotidianità. Costante anche il pensiero per il padre assassinato e forte la convinzione che il suo sacrificio non è stato inutile. © RIPRODUZIONE RISERVATA LIBERO. Shahbaz Taseer, 32 anni
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