mercoledì 21 agosto 2013
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«Avvicinandosi le elezioni politiche del prossimo anno, sta crescendo la mobilitazione del Sangh Parivar (la "famiglia" dei movimenti estremisti indù) e la paura si è riaffacciata nelle comunità cristiane del Kandhamal». Così avverte padre Ajay Kumar Singh, sacerdote e attivista sociale con base nella capitale dell’Orissa, Bhubaneswar, impegnato a cercare giustizia per le vittime della violenza.A distanza di cinque anni dalla persecuzione, quali tracce restano nei villaggi dell’Orissa?Sono circa 10mila i fuggiaschi che ancora non sono rientrati nelle proprie case. In molti hanno perso abitazione e strumenti di lavoro, e il sostegno del governo e di altre organizzazioni è inadeguato rispetto alle perdite. Il contributo da 20 a 50mila rupie non basta e in molti casi nemmeno questo è arrivato ai sopravvissuti. Resta alta l’insicurezza; di conseguenza, in diverse aree i cristiani non possono recarsi nelle foreste per raccogliere prodotti necessari come legname per ricostruire o riparare le proprie case. Anche le donne e i bambini non osano spostarsi in villaggi e mercati vicini, se devono attraversare aree abitate da indù.In che modo la Chiesa locale si muove per limitare le sofferenze dei perseguitati e di quanti chiedono ancora giustizia?Quella dell’agosto 2008 è stata la maggiore persecuzione anticristiana nella storia dell’India. La Chiesa è stata presa di sorpresa e quindi la sua risposta non è stata proporzionata all’entità degli attacchi, che hanno interessato 415 villaggi nel distretto di Kandhamal, oltre a decine negli altri 13 distretti dello Stato. Anche questo spiega come di 3.331 denunce ne siano state registrate soltanto 837 e molte meno siano arrivate in giudizio. Ritengo inadeguati i meccanismi legali attivati dalla Chiesa per rispondere a questa tragedia, ma è incoraggiante vedere come riesca ad aiutare diversi individui.Quali sono le prospettive attuali per coloro che hanno sofferto sul corpo o nei loro beni, per i sopravvissuti?La sfida che le comunità colpite si trovano davanti è quella della sopravvivenza. I cristiani cercano ancora di rientrare nei villaggi d’origine e, salvo certe circostanze, ricostruirvi un’abitazione. Tuttavia, senza gli indennizzi per la perdita di raccolti e bestiame, sono costretti a vivere alla giornata. La giustizia è diventata un sogno lontano e a questo si aggiunge la mancanza di un programma di protezione dei testimoni. La minoranza cristiana vive forte la tentazione di cedere i propri diritti in cambio di un po’ di pace. Anche se vuole giustizia, non può opporsi alle difficoltà economiche, alle minacce e all’indifferenza dell’apparato statale.Recentemente, lei ha ricevuto un riconoscimento per l’impegno a favore dei diritti delle minoranze...Io vedo il premio che mi è stato dato come un incoraggiamento alle voci che chiedono giustizia nel nostro paese. Io sono solo una di esse. I cristiani del Kandhamal piangono le ingiustizie, si lamentano silenziosamente per l’incomprensione. I tribunali hanno rilasciato la maggior parte di quelli che li hanno attaccati, razziato il loro averi, bruciato le loro case e assassinato i loro congiunti. Lo Stato rifiuta di pagare un compenso adeguato e vuole che siano soddisfatti del poco che viene loro dato. Questo porta a frustrazione diffusa, mentre il ricordo delle violenze li mantiene in uno stato di insicurezza.
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