venerdì 13 giugno 2025
La disillusione degli olandesi dopo che Wilders, leader del partito di estrema destra Pvv, ha ritirato il suo sostegno alla coalizione di governo. Alle urne il 29 ottobre
Geert Wilders, leader del Partito olandese per la libertà (Pvv) di estrema destra

Geert Wilders, leader del Partito olandese per la libertà (Pvv) di estrema destra - Ansa

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Per la terza volta in cinque anni gli olandesi torneranno alle urne, il 29 ottobre. Dopo la caduta, il 3 giugno, di un governo traballante fin dall’inizio, durato 11 mesi. Il precedente, guidato da Mark Rutte, ora segretario generale della Nato, esalò l’ultimo respiro dopo 2 anni. Crollato per lo stesso motivo per cui ora Geert Wilders, leader del partito di estrema destra Pvv (il Partito per la libertà), ha ritirato il suo sostegno alla coalizione di governo: la questione del freno all’immigrazione. E non solo.

Ma che cosa sta accadendo nei Paesi Bassi? Facciamo il punto della situazione. Partendo dai retroscena. Laddove da tempo serpeggiava lo scontento in una coalizione messa insieme a fatica, costituita, dopo tante liti, dal Pvv, dal Vvd (liberali conservatori), Nsc, il partito democratico cristiano conservatore (il cui fondatore, l’economista Pieter Omtzigt, si era dimesso nel giro di qualche mese) e dal Bbb, il partito dei contadini. In realtà, come in passato, nessuno voleva allearsi con Wilders, forte dei suoi 37 seggi, ma definito in Olanda il “pitbull della politica”, all’estero il “Trump olandese.” Contestato soprattutto per le sue posizioni anti islam, anti Eu, anti migranti; ora per quelle sul massacro perpetrato a Gaza dove, secondo lui «non si può parlare di genocidio da parte di Israele, ma di difesa di questo Stato nei confronti del suo popolo, del suo diritto ad esistere». Vita breve anche per il primo ministro, il tecnocrate Dick Schoof, diventato premier come ringraziamento per le tante energie spese in qualità di formatore della suddetta maggioranza scontenta. Una brava persona. Ignorato da Wilders. Il quale, sin dal primo giorno del suo mandato precisò: «Chiariamo che il capo sono io, non lui». Veniamo al colpo di scena. Durato in totale otto minuti, il fatidico giorno in cui Wilders ha aperto la porta, è entrato nell’aula del Parlamento e ha detto: «O accettate subito almeno sei dei dieci punti da me proposti sui migranti oppure me ne vado». Risposta implicita non pervenuta. Esplicita: negativa. Allora lui ha alzato le braccia in segno di resa, annunciando la decisione di «staccare la spina, stanco di una coalizione che non ha fatto altro che ostacolarlo su ogni sua proposta». E se ne è andato, sbattendo la porta. Pare che siano volate parole grosse. Le più gentili nei suoi confronti sono state: «Egoista, infantile, vigliacco, traditore, ipocrita, incapace di risolvere i conflitti, presuntuoso, egocentrico». Nessuno psicologo avrebbe potuto descrivere meglio la sua complessa personalità! Qualcuno ha esclamato: «E adesso chi telefona al premier Schoof e glielo dice?». Poco dopo, l’esausto premier si trovava già al cospetto di re Willem Alexander per consegnare le dimissioni sue e quelle del governo in carica. Neanche il ministro per l’Immigrazione e accoglienza, Marjolein Faber, dello stesso partito di Wilders, si aspettava una decisione così drastica.

Come hanno reagito i cittadini olandesi? Premesso che gli olandesi amano la stabilità e odiano i cambiamenti, molti l’hanno definita un’azione scellerata, per giunta nel momento in cui Wilders aveva ottenuto finalmente la possibilità di far sentire la sua voce. E quindi avrebbe dovuto impegnarsi a fondo per portare avanti le sue idee e e trovare un punto di accordo con quelle altrui. I suoi detrattori l’hanno accolta con sollievo. Il 74% dei suoi elettori ha continuato a sostenerlo. Nicolien van Vroonhoven, del Nsc, in un’intervista al quotidiano AD ha definito il motivo per far cadere il governo “dikke onzin” ("un’enorme assurdità"). Ritenendolo reo di aver imputato a loro tutte le colpe del suo fallimento, delle promesse elettorali non mantenute. Fra cui una diminuzione consistente delle tasse, asili gratuiti, congelamento degli affitti per i cittadini a basso reddito. Aggiungendo che in linea di massima condividevano parecchi punti sui migranti ma «Wilders voleva aggiungere regole ancora più rigide, chiudere i confini ed attivare l’esercito per impedirne il valico». In fondo gli avevano chiesto solo «il tempo necessario per preparare un piano accurato, realizzabile, equo. Nei confronti dei più indifesi». A questo proposito preoccupante è la situazione dei minori, frequentemente spostati da un Centro di accoglienza all’altro, dove non ricevono le cure indispensabili e, quelli traumatizzati o che arrivano da Paesi in guerra, il sostegno di psicologi. Per questo motivo i Paesi Bassi sono già stati accusati a livello internazionale di non rispettare i diritti fondamentali sulla loro accoglienza. Contro il sovranista Wilders si è espresso con durezza pure Frans Timmermans (ex vicepresidente della Commissione Europea), del partito nato dall’unione fra quello dei Verdi e quello dei Lavoratori, (Groenlinks/Pvda), il quale ha lanciato un appello affinché «si formi un cordone sanitario intorno a quest'uomo, per non lasciargli mai più il potere in mano».

Nel frattempo il 24 e 25 giugno si terrà all’Aja il vertice Nato. Confermata dalla portavoce Karoline Leavitt la presenza del presidente americano Trump. I costi per l’organizzazione sono saliti a 183,4 milioni di euro. Le 45 delegazioni (dei 32 Paesi membri) saranno ricevute, a questo punto, da un ex premier di un governo in piena crisi politica. Sorridono i vicini belgi, che di crisi politiche se ne intendono. Nel 2010 e 2011 rimasero 541 giorni senza governo. Nel 2019 un anno. A quanto pare sembra che non ne abbiano sofferto troppo, secondo il commento del politologo Dave Sinardet: «Gli olandesi sono di nuovo senza governo? Meglio essere senza governo che con uno pessimo! Da noi ogni volta che ne è caduto uno... l’economia è rifiorita, la disoccupazione diminuita. Grazie al fatto che quello dimissionario non poteva più prendere decisioni!».

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