giovedì 21 maggio 2009
Il presidente degli Stati Uniti: «Siamo in guerra con Al Qaida e le sue affiliazioni». Ma l'amministrazione Bush ha preso dopo l'11 settembre decisioni precipitose e il carcere cubano va chiuso. E il carcere, per la cui dismissione il Congresso ha negato i fondi, per Obama mina la sicurezza del Paese.
COMMENTA E CONDIVIDI
La lotta al terrorismo degli ultimi otto anni ha fatto perdere all’America la sua bussola morale, e ha creato un pasticcio legale che ora sta alla sua amministrazione ripulire. Dopo più di due settimane di infuocate polemiche sulle sue decisioni di sicurezza nazionale, Barack Obama prende la parola per spiegarsi. E lo fa simbolicamente dall’Archivio nazionale, che custodisce la Costituzione e la Dichiarazione d’indipendenza americana. Quasi contemporaneamente Dick Cheney, pochi chilometri più in là, attribuiva alle decisioni dell’amministrazione Bush di cui era vicepresidente il merito di aver protetto gli americani da un altro attacco terroristico.Il più esplicito confronto fra i governi Bush e Obama è partito dal nodo di Guantanamo, sul quale il nuovo presidente ha appena incassato uno schiaffo sonoro dal Senato. Il nuovo inquilino della Casa Bianca ha ribadito la volontà di chiudere la prigione di Cuba entro l’anno, anche se la maggioranza di senatori gli ha negato i fondi necessari per farlo. «L’esistenza stessa di Guantanamo ha creato più terroristi nel mondo di quanti ne ha tenuti prigionieri – ha spiegato –. E il costo di tenerla aperta eccede di gran lunga le complicazioni di chiuderla». Le complicazioni sono molte, ha ammesso Obama, ma in gran parte dovute al «limbo legale» in cui Bush ha tenuto i prigionieri per anni. «Non abbiamo il lusso di partire da zero – ha continuato Obama – ma non abbiamo scelta». Le complicazioni, stando ad Obama, esisterebbero anche se rimanesse aperta, perché i tribunali americani continuerebbero a ordinare al governo di liberare alcuni prigionieri o di processarne altri. «Il problema esiste per via della decisione di aprire Guantanamo, non di chiuderla – ha enfatizzato il presidente Usa –. Ed è mia responsabilità risolverlo».Obama ha poi assicurato che nessun terrorista considerato pericoloso verrà rilasciato. Una promessa che non sarà facile mantenere. Obama ha spiegato che alcuni detenuti saranno processati dalle corti militari volute da Bush, riformate in chiave più garantista, che una cinquantina verranno rimandati ai loro Paesi d’origine (un annuncio che non ha ancora ricevuto conferma dagli alleati degli Usa); e che altri saranno affidati al giudizio dei tribunali federali statunitensi. Tutte opzioni che potrebbero portare, almeno in teoria, ad alcune assoluzioni o liberazioni. Ma il problema più grosso sono i prigionieri che «non possono essere processati», come ha detto Obama, spesso perché le prove a loro carico sono state ottenute in modo illegale. Obama non ha dato numeri, ma gli analisti concordano che siano la maggioranza, circa 180 su 240. «Non li rilasceremo», ha assicurato ancora il comandante in capo delle forze armate Usa. «Cercheremo di ottenere il trasferimento di alcuni nelle strutture in cui teniamo i criminali più pericolosi e violenti». Non è chiaro però come questo sarà possibile. A meno che la «cornice legale legittima» sulla quale Obama ha promesso di basare la sicurezza nazionale (in contrasto con «la cornice creata ad hoc negli ultimi otto anni, che non si basava sulle nostre tradizioni legali e che non è né efficace né sostenibile»), venga usata per imprigionare i sospetti a tempo indeterminato. Obama ha riaffermato la sua motivazione guida: «Proteggere sia la nostra gente che i nostri valori, e farlo con la massima trasparenza che la sicurezza nazionale consente». È per quello, ha spiegato, che non vuole pubblicare nuove foto di abusi americani contro prigionieri, che avrebbero «messo in pericolo i nostri soldati», mentre ha reso noti i documenti dell’amministrazione Bush che giustificavano il ricorso alla tortura. Ma è per quello che non proteggerà mai «informazioni solo perché metterebbero in imbarazzo il governo».Grazie a questi «cambiamenti drammatici» rispetto al governo precedente, ha detto Obama, «sconfiggeremo al-Qaeda». Il network di Benladen sta infatti «attivamente pianificando di attaccarci di nuovo: sappiamo che esiste questa minaccia che sarà con noi per lungo tempo, e che dobbiamo usare tutte gli elementi in nostro potere per sconfiggerla».Per Cheney, però, i metodi degli ultimi sette anni hanno funzionato, e non vanno cambiati. L’ex vicepresidente si è detto orgoglioso delle «tecniche dure di interrogatorio», ad esempio, che hanno prodotto informazioni importanti. Ma è soprattutto sulla ricerca di consenso di Obama che l’ex numero due di Bush si è scagliato. «La sicurezza nazionale deve essere una causa che ci unisce», aveva detto Obama. Secondo Cheney, invece, «nella lotta al terrorismo non c’è via di mezzo. Non è mai il caso di aprirsi al compromesso quando le vite e la sicurezza degli americani sono in gioco».Cheney ha poco da temere: sulle divergenze nella lotta al terrorismo fra le amministrazioni passata e presente l’intesa bipartisan non è in vista. Ieri i democratici hanno salvato il loro capogruppo alla Camera e speaker, Nancy Pelosi, dalla richiesta repubblicana di un’indagine sulle sue accuse alla Cia di averle mentito sull’uso del waterboarding (l’annegamento simulato) durante gli interrogatori.
© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: