mercoledì 13 febbraio 2013
​L’esplosione di un ordigno «miniaturizzato», di potenza pari a 6 o 7 kilotoni, ha scatenato un sisma di 4.9 punti sulla scala Richter. Pyongyang vuole sviluppare  una testata per un missile capace di colpire l’America.
Dietro l'atomica nordcoreana la vera partita tra Cina e Stati Uniti di Vittorio E. Parsi
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​Che non si trattasse della consueta provocazione ma di una minaccia reale firmata del regime del giovane Kim Jong-un, lo hanno avvertito prima di tutti i sismografi: i sensori hanno captato un “sisma artificiale” di magnitudo 4.9 sulla scala Richter quasi al confine con la Cina, nella zona dove si trova la base di Punggye-ri. La Corea del Nord ha messo a segno il suo terzo test nucleare in meno di un decennio. La successione è inquietante e testimonia, in maniera inequivocabile, l’intenzione del regime di Pyongyang di giocare al tavolo internazionale con un solo asso nella manica: l’azzardo, l’intenzione di rilanciare, sempre e comunque. Primo test nel 2006, il secondo tre anni dopo. Il terzo, ieri, certifica anche il progressivo affinamento della tecnologia nordcoreana. «È stato confermato – si legge nel dispaccio rilasciato dall’agenzia ufficiale Kcna – che il test nucleare è stato effettuato a livello elevato in un modo sicuro e perfetto con carica miniaturizzata e di maggiore forza esplosiva rispetto al passato senza causare un impatto negativo sul circostante ambiente ecologico».La bomba utilizzata per il test nucleare sotterraneo era dunque un dispositivo “miniaturizzato”: la Corea del Nord è riuscita a ridurre il peso e la grandezza dell’ordigno esplosivo, il che fa pensare che il Paese abbia compiuto un passo in avanti verso l’obiettivo di equipaggiare i suoi missili balistici con testate atomiche. Secondo il ministero della Difesa a Seul, il nuovo test ha avuto una potenza tra i 6 e i 7 kilotoni: decisamente di più che nel 2006 (un kilotone la potenza stimata) o nel 2009 (due/sei). E anche l’intelligence statunitense ha confermato che si sarebbe trattato di una potenza di «diversi kilotoni». Per avere un’idea, basti ricordare che la bomba atomica gettata dagli Usa su Hiroshima aveva una potenza di 15 kilotoni. La reazione della comunità internazionale è stata immediata. E ferma. Ma anche intrappolata nella consueta impotenza, della condanna generica non seguita dai fatti. E se la stessa Cina – da sempre il partner più solidale con la Corea – sembra volgere le spalle al regime, il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite ha «condannato con forza» l’esperimento nucleare, ma soprattutto ha anticipato che metterà in campo «misure appropriate». Quali? Possibile un nuovo inasprimento delle sanzioni che già stringono il regime: ma il percorso per arrivarvi, secondo gli analisti, potrebbe essere lento e faticoso.La condanna è stata unanime. Dal presidente americano Barack Obama (che ha parlato di un «atto altamente provocatorio» e si è detto pronto «a coordinare la risposta» con gli alleati) al segretario generale dell’Onu, Ban Ki-moon («chiara e grave violazione delle risoluzioni»), fino ai vicini allarmati, Corea del Sud e Giappone, e a Russia, Francia, Gran Bretagna, Italia, Ue e Nato. Il ministro degli Esteri cinesi Yang Jiechi ha convocato l’ambasciatore nordcoreano a Pechino per esprimere «forte insoddisfazione e contrarietà risoluta». A prescindere all’effettiva riuscita su cui gli esperti dei servizi militari e di intelligence occidentali lavoreranno nei prossimi giorni, lo scopo di Pyongyang è sviluppare una testata per un missile a lungo raggio, come sostiene l’International Peace Research Institute di Stoccolma (Sipri). Il timore è che si arrivi a un ordigno di una tonnellata o meno di peso che consenta il suo montaggio su un vettore a lunga gittata come quello di dicembre, capace di coprire 10.000 chilometri fino a insidiare i Paesi vicini e, potenzialmente, gli Stati Uniti. «È una minaccia seria», ha sentenziato il capo del Pentagono, Leon Panetta.
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