martedì 1 ottobre 2019
Fonti di intelligence e inquirenti smentiscono le notizie di stampa riguardo alla presunta islamizzazione forzata di Silvia Romano, rapita in Kenya il 20 novembre scorso
La cooperante Silvia Romano in una foto tratta dal profilo Facebook

La cooperante Silvia Romano in una foto tratta dal profilo Facebook

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Fonti di intelligence e inquirenti smentiscono le notizie di stampa riguardo alla presunta islamizzazione forzata di Silvia Romano, rapita in Kenya il 20 novembre scorso. Non c’è alcune prova – spiegano – che la cooperante milanese sia stata costretta a sposare con rito musulmano un uomo di potere somalo. Al momento, l’ipotesi più plausibile formulata dai magistrati è che la ragazza – 24 anni compiuti il 13 settembre – sia stata trasferita in Somalia dopo il sequestro.

L’indagine, avviata dalla Procura di Roma e coordinata dal sostituto procuratore Sergio Colaiocco, ha accertato che, prima e dopo il blitz a Chacama, villaggio a ottanta chilometri da Nairobi nel cui centro commerciale la giovane è stata catturata, ci sono stati intensi contatti telefonici tra gli autori materiali – tre dei quali, Abulla Gaba Wario, Moses Luwali Chembe e Said Adhan Abdi, sono sotto processo – e alcune persone residenti in territorio somalo. La dinamica e i mezzi impiegati – moto nuove ed armi –, indica inoltre che si è trattato di un sequestro su commissione. Ad agire, secondo le attuali ricostruzioni, sarebbe stata una banda di otto persone.

Ma – secondo gli inquirenti – sarebbe stato impossibile per una gang locale metterlo a segno senza una “direzione” esterna. Silvia Romana, neo-laureata con una tesi sulla tratta di esseri umani, era in Kenya con l’associazione Africa Milele che porta avanti progetti per l’infanzia dimenticata. La giovane, dopo un primo periodo, era rientrata a Chacama ai primi dello scorso novembre.

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