venerdì 10 gennaio 2014
​I parroci sfidano le minacce per aiutare la gente La «resistenza» Nello Stato, sintesi estrema del Messico, spesso sono i preti l’ultima autorità rimasta
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Lo sguardo duro della statua era fisso sul municipio. Col suo messaggio inequivoca­bile: «Parácuaro è territorio del boss». Cioè di Nazario Moreno, il cui profilo marmoreo vigilava il territorio, nel cuore dello Stato del Michoacán. Almeno fino a lunedì, quando 200 civili armati hanno strappato la cittadina ai narcos Los Caballeros Templarios (cava­lieri templari). E hanno distrutto il monumento insieme alle im­maginette dove Nazaro è rappre­sentato con una pistola in ogni mano e la scritta: «Proteggimi». Il culto del leader, ucciso nel 2010, non è uno dei soliti narco-ecces­si messicani.

È uno strumento chiave della strategia di conqui­sta dei Caballeros e, in minor mi­sura, dalle altre bande in lotta. Che ammantano l’ansia di dominio sulla regione e i suoi abitanti di un’aura “parareligiosa”. Poco im­porta che le finalità siano emi­nentemente criminali: assicurar­si i corridoi di passaggio della co­ca verso gli Usa, ampliare il giro di estorsioni, di sfruttamento della prostituzione, tratta. Non si ven­dono nemmeno le tortillas senza il consenso dei narcos. Sindaci, polizia locale, autorità – quando non sono fuggite – sono complici o inette. E il moltiplicarsi di bri­gate civili anti-criminali – le co­siddette “autodefensas” che con­trollano un quinto dello Stato e ri­schiano di trasformarsi in altri squadroni della morte– è la dram­matica conferma. «Non ci sono giudici né pubblici ministeri, niente. Come possiamo andarce­ne? Chi altri aiuterebbe la gente?, si chiede padre José Luis Espino­sa, diventato sei mesi fa parroco di Buenavista Tomatlán. In quel­la «terra di nessuno» che è ormai il Michoacán –«Stato fallito», l’ha definito il vescovo di Apatizgán, Miguel Patiño –, con 990 omicidi nel 2013, la Chiesa è l’ultima for­ma di resistenza alla violenza. Per settimane, tra novembre e di­cembre, le chiese di Tancítaro hanno dato rifugio a 400 civili in fuga dai narcos. Sono le parroc­chie a raccogliere le denunce di scomparsa o sequestro. Nono­stante le minacce continue. Spe­cie da parte dei Caballeros che considerano il cristianesimo un pericoloso rivale del “culto” di Na­zaro. A molti sacerdoti è stato “in­timato” di non celebrare feste re­ligiose, di sospendere le funzioni o di benedire i Kalashnikov, rac­conta padre Patricio Madrigal del­la città di Nueva Italia. Tutti han­no rifiutato. Il rischio è alto. Negli ultimi 17 anni, cinque preti sono stati assassinati nello Stato. Padre Santiago Álvarez Figueroa è spa­rito mentre si dirigeva a Paredes, dopo la Messa. Ad Apatizgán, monsignor Patiño ha deciso di chiudere il seminario e spostare gli allievi a Zamora. L’anno scorso, il Centro Católico Multimedial ha registrato 1.465 tentativi di estorsione alle parroc­chie, tra e mail, lettere e telefona­te. Il Michoacán è, purtroppo, la sintesi estrema del Messico. Tra i tanti effetti perversi della narco­guerra c’è anche quello di aver tra­sformato il Paese con più cattoli­ci del mondo nel secondo più le­tale per gli operatori pastorali, co­me rivelato dall’ultimo rapporto Fides: 22 assassinati in 23 anni, 4 l’anno scorso.

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