venerdì 26 dicembre 2008
Il governo ha riconosciuto come festività il 25 dicembre, ma solo per gli ortodossi. Manca ancora il riconoscimento giuridico della Chiesa cattolica A Trebisonda, dove venne ucciso don Santoro, si riuniranno in venti.
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Sarà un Natale all’insegna del­l’ottimismo e della speranza quello dei cattolici di Turchia. Una luce che deriva soprattutto dal­le celebrazioni dell’Anno Paolino, che hanno restituito alle comunità cattoliche che vivono nel Paese u­na nuova serenità e fiducia verso il futuro. A lanciare un messaggio po­sitivo è monsignor Luigi Padovese, Vicario Apostolico dell’Anatolia, che spiega ad Avvenire come i cat­tolici di Turchia hanno accolto e stanno vivendo questo Anno Pao­lino, che terminerà nel giugno 2009. La presenza eccezionale di fedeli, destinata ad aumentare da marzo 2009 con l’introduzione di nuovi vo­li verso l’est della Turchia, le tante manifestazioni organizzate, l’ap­poggio del governo turco e la pre­senza di autorità della Mezzaluna nei momenti più importanti, fan­no ben sperare per il miglioramen­to delle condizioni dei cristiani an­che quando l’anno dedicato a San Paolo sarà concluso. Rimangono al­cune perplessità, come la decisio­ne del governo turco di riconosce­re per la prima volta come festività nelle scuola della Mezzaluna il Na­tale per gli ortodossi e lo Yom Kip­pur per gli ebrei. Un provvedimen­to che rappresenta un passo in a­vanti per la tutela delle minoranze religiose presenti in Turchia, ma in­completo, perché la sua attuazione non riguarda i cattolici, a cui man­ca ancora un riconoscimento giu­ridico da parte delle autorità di Ankara. « Durante questo Anno Paolino – spiega Padovese – abbiamo inne­scato un dinamismo favorevole, che ci lascia ben sperare anche per il fu­turo. La speranza c’è e noi dobbia­mo continuare ad alimentarla'. Segni importanti in questo Natale, in una parte della Turchia, Iskederun, sede del Vicariato apostolico del­l’Anatolia, che profuma di Medio Oriente. Quest’anno il Gran Muftì di Turchia (massima autorità religio­sa del Paese ndr), Ali Bardakoglu, ha inviato una lettera di Natale a Monsignor Padovese densa di si­gnificato e i colloqui con il governo turco per la concessione di una se­de di culto permanente proseguo­no in modo positivo. La chiesa- museo di Tarso Anche a Tarso, uno dei luoghi­chiave delle celebrazioni paoline, che si trova a pochi chilometri di distanza dal confine siriano, no­nostante la mancanza di una chiesa aperta in modo stabile, ci si prepara con serenità alla celebra­zione di questo Natale. «È un po’ triste festeggiare in un luogo dove non c’è una chiesa e dove ci sono pochi cristiani – spiega suor Maria Di Meglio – . A Mersin per esem­pio è diverso, perché lì c’è una chiesa dove il 25 dicembre riesco­no persino a organizzare un pic­colo concerto. Ma questo anno dedicato a San Paolo ha portato un avvicinamento e un coinvolgi­mento delle autorità turche, che hanno partecipato alle celebrazio­ni del 21 giugno scorso, quando l’Anno Paolino si è aperto ufficial­mente, e hanno fatto anche stam­pare molti libretti sulla vita del Santo. C’è stato un boom di visite alla chiesa-museo di Tarso (che viene aperta al culto solo in caso di visite da parte di gruppi, n­dr), anche tante gi­te scolastiche. Molti musulmani sono rimasti affa­scinati dalla figura di Paolo. Abbiamo un ottimo rappor­to anche con la po­lizia, sempre molto protettiva nei confronti di noi suore». Immagini serene e positive, alle quali però bisogna affiancare si­tuazioni che presentano, per dirla con le parole di Padovese, «pro­blemi di carattere locale». A Sam­sun, nonostante la presenza di u­na chiesa non ci sono cristiani che la frequentano, e quindi Don Giu­liano Lonati festeggerà «in grande semplicità» a Trebisonda, dove Don Andrea Santoro quasi tre an­ni fa pagò la sua testimonianza con la vita, e dove non si riunirà più di una ventina di fedeli, inclu­si quelli ortodossi e armeni. Ad A­dana e a Van le situazioni più criti­che, dove, dietro la prudenza, a tratti si cela la paura. Una sfida da raccogliere Ma il messaggio, in quest’Anno Paolino, è guardare avanti, ai pro­gressi fatti e agli obiettivi da rea­lizzare in futuro, e riscoprire il senso del Natale in un Paese a netta maggioranza musulmana. È questa la ricetta di Fra’ Claudio, che esercita la sua missione pa­storale nella moderna e cosmopo­lita Istanbul. «Quello turco è un Natale strano: spesso la gente, do­po aver assistito alla Messa, va al lavoro. Ma questa è una sfida per ritrovare lo spirito più autentico di questa festa, e per riviverlo ogni giorno nelle circostanze ordinarie. Proprio come è accaduto alle ori­gini del cristianesimo».
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