venerdì 14 dicembre 2012
Stupisscono le dichiarazioni del vice ministro Bogdanov che ammette: non escludiamo la vittoria dei ribelli. E' il primo segnale concreto del «riposizionamento» di Mosca. Rasmussen (Nato): regime vicino al collasso.
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Il regime di Bashar al-Assad è al capolinea. Che a fare questa affermazione sia stato ieri il se­gretario generale della Nato, Anders Fogh Ra­smussen, non stupisce. Non è nemmeno la prima volta che la Nato – come del resto buona parte del­la comunità internazionale – riconosce il progres­sivo sgretolamento del governo. Di cui più volte è stata annunciata la fine imminente. A cogliere di sprovvista è, però, il fatto che perfino Mosca, fedele alleato e difensore di Damasco, si sia arresa e ab­bia cominciato a condividere questa prospettiva. Non in modo così netto come la Nato. Le dichia­razioni del vice ministro degli Esteri, Mikhail Bog­danov, sono, comunque, un eloquente segnale del “riposizionamento” russo. Preoccupata dal rico­noscimento dato da Washington alla Coalizione delle opposizioni, Mosca sembra voler correre ai ripari. «Non possiamo escludere una vittoria dei ri­voltosi – ha ammesso Bogdanov –. I fatti devono essere visti per quello che sono: il regime perde sempre più il controllo di una larga parte del ter­ritorio». Mentre i ribelli incalzano, «ispirati dal ri­conoscimento internazionale e addestrati con ar­mi provenienti dall’estero», ha aggiunto il vice mi­nistro. È la prima volta che la Russia ammette la possibilità di una sconfitta da parte di Damasco. Il realtà, alcuni piccoli, ambigui passi in questa di­rezione erano stati già compiuti nei giorni scorsi. Quando il premier Dmitrij Medvedev ha attribui­to al regime la responsabilità di una strage e non più solo agli insorti. Uno spiraglio a cui ha fatto se­guito la rassicurazione del ministro degli Esteri Ser­geij Lavrov che ha garantito il non intervento ar­mato russo in caso di attacco ad Assad. L’equilibrio del conflitto siriano, del resto, sembra pendere dalla parte dei ribelli. Che, nelle ultime settimane, hanno intensificato l’escalation. Cin­gendo d’assedio perfino la capitale. Dove la batta­glia pare imminente. Come dimostrano gli attac­chi delle ultime 48 ore. Due giorni fa, tre bombe hanno sfregiato il ministero dell’Interno. Cinque persone sono state uccise e altre 23 sono rimaste ferite. Tra loro il titolare, Mohammed Ibrahim al-Shaar, colpito dal crollo di un soffitto. L’assalto è stato rivendicato dal Fronte al-Nusra, tra le più ra­dicali delle formazioni anti-Assad. Appena quat­tro giorni fa, il Dipartimento di Stato Usa l’ha de­finita «un’organizzazione terroristica internazio­nale » perché legata al-Qaeda. Eppure, fonti di A­leppo, citate dal quotidiano al-Hayat , sostengono che l’intelligence statunitense lascia ai miliziani sostanziale «via libera». I servizi segreti occidenta­li «sono presenti e lavorano nella striscia di confi­ne tra Turchia e Siria e dunque non possono non sapere che i radicali hanno varcato la frontiera», di­chiara la fonte. E aggiunge: nel Fronte combatte­rebbero anche 13 norvegesi di religione islamica. Ieri, un’altra autobomba è scoppiata nel sobbor­go di Qatana, nel sud-est di Damasco, vicino a u­na scuola elementare. Il bilancio, peraltro ancora provvisorio, è di 16 morti e almeno 25 ferite. Ben sette delle vittime sono bambini. A Qatana, a 21 chi­lometri dalla capitale, vivono in prevalenza sunniti e cristiani. Per tutta la giornata, i combattimenti so­no stati feroci. I Comitati locali di coordinamento hanno denunciato 102 nuove vittime. Numeri im­possibili da verificare, come al solito, in un conflitto in cui la guerra mediatica procede parallelamen­te a quella reale. Come dimostra anche la polemica sul presunto u­tilizzo di missili Scud da parte del regime. Aaraba Idridd, un ex ufficiale siriano, che prestava servi­zio in un battaglione specializzato nel lancio di missili terra-aria e ora è passato nelle file dei ri­belli circa dieci mesi fa, ha rivelato che il governo avrebbe scagliato alcuni Scud contro Aleppo quat­tro giorni fa. Di nuovo mercoledì un funzionario Usa, citato dal New York Times ha rivelato il lancio di sei Scud contro obiettivi nel nord della Siria. Informazioni confermate ieri da Rasmussen. «Nel corso della settimana è stato rilevato il lancio di un certo numero di missili a corto raggio all’inter­no della Siria e alcune prove indicano che si trat­tava di missili Scud», ha dichiarato il segretario del­la Nato. Damasco ha negato «categoricamente». In una nota, diffusa dal ministero degli Esteri e ci­tata dalla tv di Stato, si dice: «La Siria smentisce in toto le voci secondo cui l’Esercito arabo siriano ab­bia sparato missili Scud».
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