giovedì 21 aprile 2011
Il regime critica l’invio di esperti militari stranieri, ma apre alla transizione politica: «Se cessano subito le azioni della Nato si può andare alle urne entro sei mesi». I giornalisti, un inglese e un americano, centrati da colpi di mortaio sulla città controllata dai ribelli Gheddafi ricompare in tv.
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«A Misurata, città sotto assedio. Bombardamento indiscriminato da parte delle forze di Gheddafi. Nessun segno della Nato». È questo l’ultimo messaggio postato su Twitter da Tim Hetherington, reporter britannico di 41 anni ucciso ieri da un colpo di mortaio insieme al collega americano, Chris Hondros, stessa età, nell’inferno di Misurata.La città, unico baluardo nell’ovest della Libia rimasto in mano ai ribelli, è da settimane teatro di aspri combattimenti tra le truppe di Gheddafi, che la stringono d’assedio con i carri armati, martellandone il centro con l’artiglieria pesante, e gli insorti, che cercano di respingere l’avanzata dei governativi. Zona off-limits per i giornalisti: per molti giorni si è saputo poco o nulla di quanto stava accadendo davvero a Misurata. Poi la parola «massacro» ha cominciato a diffondersi, trovare conferme. Hetherington e Hondros erano lì per testimoniare.Due reporter conosciuti e di esperienza. Hetherington, regista con una nomination all’Oscar per il documentario Restrepo sull’Afghanistan e fotogiornalista di Vanity Fair; Hondros, fotografo dell’agenzia Getty, finalista per l’edizione 2004 del premio Pulitzer. Il colpo di mortaio ha posto fine alla loro vita mentre si trovavano in Tripoli Street, l’arteria principale della città. A portarli in ospedale sono stati i ribelli, con un’ambulanza. Insieme a due colleghi che sono rimasti feriti.Solo poche ore prima, l’Onu aveva rivolto un pressante appello alle autorità di Tripoli affinché interrompano l’assedio a Misurata, denunciando anche l’uso, da parte dei governativi, delle bombe a grappolo, vietate dalle leggi internazionale. Parole che si sono scontrate, come sempre in questi mesi di crisi, contro il “muro” del regime libico, tanto rigido nel respingere ogni richiesta di moderazione, quanto abile nel gestire la risposta, militare e diplomatica, alle mosse degli alleati impegnati in Libia. Ieri, l’ultimo esempio. Il governo ha infatti reagito alle notizie sull’invio di consiglieri e ufficiali e addestratori britannici, francesi e italiani con una manovra che ha tutta l’aria di un “ricatto” politico. Il ministro degli Esteri, Abdul Ati al-Obeidi, ha dichiarato che se cesseranno i bombardamenti della Nato il governo libico potrebbe indire elezioni entro sei mesi. E che, persino, verrebbe messa in discussione la leadership di Gheddafi («sarà coperta qualsiasi questione sollevata da tutti i libici – ha dichiarato – compreso il futuro di Gheddafi»). Ma «ogni presenza militare è un passo indietro», ha ammonito il ministro, aggiungendo che, le posizioni di Regno Unito, Francia e Italia «non aiutano».Di fatto, il regime annaspa. E come accaduto in ogni momento di particolare difficoltà negli ultimi mesi, il Colonnello è improvvisamente “ricomparso” sulla tv di Stato, che ha trasmesso immagini del rais registrate nella mattinata mentre, all’interno di una tenda, in una località sconosciuta, riceveva il coordinatore dei Comitati popolari libici, Mohammed Zinati. A confezionare un po’ di propaganda ci si è messo poi il figlio di Gheddafi, Saif al-Islam, che, sempre alla tv di Stato, si è detto «molto ottimista», perché «saremo noi a vincere».
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