mercoledì 22 agosto 2012
​Dubbi sulla stabilità del Paese dopo la morte del presidente Meles Zenawi, avvenuta nella notte tra lunedì e martedì in un ospedale di Bruxelles. Autoritario, pragmatico e fedele all'Occidente, è stato una figura chiave per l'equilibrio dell'Africa orientale. Ora la costituzione assegna il comando al vice Hailemariam.
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​L’uscita di scena dal palcoscenico della Storia di Meles Zenawi è un fatto importante. Infatti, con la sua prematura morte – era nato l’8 maggio del 1955 – si aprono nuovi scenari non solo nel suo Paese, ma anche nel Corno d’Africa e nel resto del continente. Da molte settimane circolavano insistentemente voci sulle sue cattive condizioni di salute e lo scorso luglio “Legesse” – questo era il vero nome di battesimo di Meles – era stato ricoverato per alcune non meglio precisate terapie mediche, senza che fossero rilasciati particolari ragguagli sul suo stato di salute. Che la situazione fosse seria, si era comunque compreso nei circoli diplomatici, soprattutto quando, un mese fa, Meles non si era presentato al summit dell’Unione Africana (Ua), l’organizzazione panafricana che comprende tutti gli Stati del continente (eccetto il Marocco) , con sede ad Addis Abeba. Stiamo parlando, comunque di un personaggio, Meles, che, nel bene e nel male, ha segnato il nuovo corso del “Leone ruggente” d’Etiopia. Sì, quell’Impero millenario che con la morte del Negus Hailè Selassiè (duecentoventicinquesimo discendente della dinastia Salomonide), il 27 agosto del 1975, divenne prima – durante la “Guerra fredda” – un Paese marxista con il colonnello Mènghistu Hailè Mariàm e poi, successivamente, all’inizio degli anni Novanta, una democrazia tutta da inventare grazie anche al coinvolgimento diretto di Meles. Che ricoprì prima l’incarico di presidente della Repubblica d’Etiopia dal 1991 al 1995 e poi di primo ministro dal 1995 al 2012. Considerato un valido alleato dell’Occidente, nonostante le continue violazioni dei diritti umani durante la sua lunga leadership, Meles puntò su una sorta di federalismo impositivo che consentì, almeno sul piano formale e dunque di una presunta legittimità popolare, di contenere le tensioni tra le etnie diverse dopo la caduta del regime di Mènghistu, meglio noto come “Negus Rosso”. La personalità di Meles era ben espressa nel nome di battaglia che portava con orgoglio. Un nome – “Meles” – che in tigrino deriva da Melisu, cioè “colui che ha risposto” alle istanze di un Paese che, a parte la breve occupazione fascista, non aveva conosciuto l’onta del colonialismo. D’altronde lui era nato ad Adua, proprio laddove il generale Oreste Baratieri era stato sconfitto il 1°marzo 1896 dagli uomini di Menelik II. Fu proprio un lontano cugino di Meles a raccontare, a chi scrive, un aneddoto che poi successivamente venne confermato, in un’altra intervista, dallo stesso primo ministro etiope. «Alla fine dell’800 in Italia – raccontò il testimone – c’era a Milano un certo cavalier Ferdinando, proprietario dei magazzini Bocconi. Come ogni buon genitore, pensava di passare un giorno la sua attività al figlio Luigi. Ma quel ragazzo aveva un grande spirito d’avventura e si arruolò nel corpo di spedizione italiano: morì nella battaglia di Adua con molti dei suoi commilitoni. Il padre allora volle dedicargli in perpetua memoria un’università, la prestigiosa Bocconi». Meles, a questo proposito, commentò con garbo ed ironia che forse «non tutti i mali venivano per nuocere», a significare che, dopotutto, la sconfitta di Baratieri servì almeno, per fare qualcosa di meritorio in Italia, appunto una delle più prestigiose università europee. Detto questo, è bene rammentare che Meles è stato un personaggio in cui coincidevano gli estremi: se diceva qualcosa, non era da escludere che per la “ragion di Stato” o per interessi personali, fosse convinto dell’esatto contrario. Guardava, ad esempio, alla Chiesa copta come ad una entità nazionale preposta a difendere l’integrità dell’Etiopia dalla minaccia islamica. Ma poi strumentalizzava la religione con finalità spesso politiche o addirittura nepotistiche. E cosa dire poi dell’atteggiamento supponente nei confronti delle altre Chiese cristiane che, secondo lui, erano da considerarsi, “organizzazioni non governative”, misconoscendo il dato spirituale delle iniziative che esse svolgono in Etiopia? Anche se poi aveva il buon senso di riconoscere il bene profuso dai missionari come nel caso di Kidane Mehret , una cittadella della solidarietà fondata da suor Laura Ghirotto, delle Figlie di Maria Ausiliatrice ad Adua. In politica era lo stesso: si definiva amico degli Usa, ma aveva spalancato le porte dell’Etiopia ai cinesi. Proprio come recita un proverbio del Tigray: «Chi esiste sembra non debba mai morire; chi è morto sembra non sia mai esistito».
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