mercoledì 10 febbraio 2021
Era stato espulso dal Parlamento per essersi rifiutato di indossare l'accessorio mentre parlava in aula: ora la cravatta non sarà più obbligatoria
Rawiri Waititi in aula, con la collana al posto della cravatta

Rawiri Waititi in aula, con la collana al posto della cravatta - Reuters

COMMENTA E CONDIVIDI

Ha vinto la sua battaglia il leader del partito Maori che, in Nuova Zelanda, era stato espulso dal Parlamento per essersi rifiutato di indossare la cravatta mentre parlava in aula: la cravatta non sarà più obbligatoria. Lo ha annunciato il presidente della Camera, Trevor Mallard, mettendo così fine alla querelle con il deputato, querelle che aveva avuto ampio risalto sulla stampa nazionale e non solo.
Rawiri Waititi aveva respinto per due volte la richiesta del presidente dell'assemblea di indossare una cravatta in aula per poter prendere la parola. E ignorando la richiesta dello speaker, aveva proseguito il suo intervento, fin quando Mallard ne aveva decretato l'espulsione. "Non si tratta di cravatte, si tratta di identità culturale. È un cappio coloniale" aveva reagito il parlamentare all'uscita dall'aula, qualificando come "inconcepibile" il trattamento riservatogli.
Ma sul braccio di ferro è stata convocata la giunta del regolamento che ha deciso a favore del deputato Maori. "La commissione non ha raggiunto l'unanimità, ma la maggioranza si è detta favorevole alla rimozione dell'obbligo per le cravatte", ha reso noto Mallard. Waititi -che ha il viso con il tradizionale tatuaggio dei Maori- è apparso raggiante e finalmente a suo agio: era in Parlamento con un impeccabile abito maschile blu, un'immacolata camicia bianca ma, al posto della cravatta, una collana con una vistosa pietra verde. La polemica era stata così accesa che si era sentita in dovere di intervenire la stessa premier Jacinda Arden: guidata da un istinto profondamente liberale, la leader laburista ovviamente non era affatto contraria al fatto che le persone si rifiutino di indossare cravatte ma aveva fatto osservare che ci sono cose ben più importanti su cui concentrarsi.
D'altra parte, rieletta a furor di popolo nelle elezioni di novembre, la premier, nel suo secondo governo che ha voluto nel segno dell'inclusione, ha nominato un ministro degli Esteri donna e Maori, un primato nella storia del Paese; e subito dopo la sua rielezione lo stesso deputato Waititi l'aveva accolta in Parlamento con un hongi, l'augurio tradizionale Maori. Lo scorso novembre anche il capo della diplomazia, Nanaia Mahuta, era stata criticata per il suo "moko kauae", il tradizionale tatuaggio femminile sul mento, descritto da critici come "incivile e poco raffinato".
Alcuni neozelandesi con origini Maori hanno tatuaggi che rappresentano la loro genealogia, l'identità e comunque il patrimonio secolare. Solitamente i "moko kauae" coprono l'intero volto, ma nel caso delle donne si limitano al mento, come prevede la tradizione sacra. La colonizzazione e l'arrivo dei missionari cristiani, che trovavano i tatuaggi sgradevoli, segnarono l'estinzione della tradizione a metà del XIX secolo.
Alla fine del secolo scorso e all'inizio degli anni 2000 c'è stato invece un rinnovato interesse per il "moko", che è tornato ad essere una pratica diffusa e molto ben accetta nella società neozelandese, proprio per proteggere l'eredità dei Maori e il loro contributo unico alla storia e alla cultura del Paese.

© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: