mercoledì 21 luglio 2010
Il caso non rientra tra quelli dei malati terminali portati a morire in Svizzera e che vengono ormai «derubricati» dai pm. L’uomo non soffre, ma si dice «stanco di vivere». I pro-life: «Proteggere i vulnerabili, non sbarazzarci di loro».
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Un ingegnere inglese di 54 anni, colpito da un ictus e rimasto paralizzato, con l’unica capacità di muovere gli occhi e la testa, ha avviato una battaglia legale per permettere alla moglie di mettere fine alla sua vita. Tony Nicklinson vuole sapere dalla Procura se la moglie sarà accusata di omicidio dopo avergli somministrato una dose letale di farmaci. Il caso potrebbe ora raggiungere la Corte Suprema, scriveva ieri il Guardian, e sfidare la legge sull’omicidio con la derubricazione ad «atto consensuale». Nicklinson non è malato terminale e non soffre dolori intollerabili: dice però di essere «stanco di vivere». Ex giocatore di rugby, gli pesa in modo intollerabile di avere bisogno di aiuto «in ogni aspetto» della vita: «Posso mangiare solo se imboccato come un bambino, vengo pulito e curato da persone che non conosco. Sento di non avere più alcuna dignità». La paralisi, che si estende dal collo, non gli consente di potersi uccidere a meno di non rifiutare di ingerire cibo e acqua: una cosa che però non vuol fare. Così come non vuole recarsi in Svizzera (nella confederazione il suicidio assistito è legale) come ha già fatto più di un centinaio di suoi connazionali. Vuole morire a casa sua, ma prima vuole sapere se la moglie sarà incriminata per averlo aiutato. Il tentativo di Nicklinson è stato definito dai gruppi contro l’eutanasia «profondamente preoccupante e pericoloso per i più vulnerabili». «Abbiamo visto molti casi di suicidio assistito ed eutanasia – ha detto ieri un portavoce del gruppo "Care not killing" – in cui le persone più deboli vengono messe in una condizione in cui si sentono un peso emotivo e finanziario per la famiglia, ma questo non deve succedere. Il nostro dovere è quello di proteggere chi è più fragile, non possiamo sbarazzarci di loro». Nicklinson chiede ora che la Procura si pronunci sull’ipotesi di «delitto consensuale» per motivi «compassionevoli», sollecitando un’indagine per conoscere se sia nell’interesse pubblico perseguire i responsabili di questi casi. Qualora fallisse il suo tentativo, ha fatto già sapere che è pronto a rivolgersi al Ministero della Giustizia. Lo scorso febbraio la malata di sclerosi multipla Debbie Purdy aveva innescato una battaglia legale per sapere se il marito sarebbe stato incriminato dopo averla accompagnata in Svizzera a morire. La Purdy riuscì a farsi dare ragione, inducendo la Procura del Regno a emettere linee guida per orientare le decisioni in casi analoghi. Le nuove regole – che invitavano i giudici a decidere caso per caso – non possono però essere applicate al caso Nicklinson: l’uomo infatti non può essere semplicemente aiutato a morire, ma deve essere ucciso. La posizione della Procura sull’eutanasia finora è stata chiara: «L’omicidio è così grave che l’incriminazione è quasi certamente richiesta anche nei casi di uccisione compassionevole di un parente malato». Ma la vicenda Purdy insegna che serve sempre un caso-limite per creare una breccia nel diritto.
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