sabato 5 marzo 2011
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Il congelamento dei fondi all’estero dei dittatori è una possibilità, un «rischio», per scongiurare un possibile terremoto in Borsa provocato dal ritiro, massiccio e improvviso, dei fondi investiti dalla Libia nelle aziende italiane. Lo ha detto ieri il ministro dell’Economia, Giulio Tremonti alla riunione Aspen di Istanbul. Nel giorno in cui il team di esperti italiani sbarca in Tunisia per individuare le aree per le tendopoli, il ministro dell’Economia lancia il suo allarme. Tremonti fa notare che uno dei rischi più grandi è la possibilità che vengano smantellati i "fondi sovrani" che investono in Occidente. «Noi vogliamo bloccare i fondi di quei Paesi – dice –, pensate se lo facessero loro al contrario», cioè se fossero quei Paesi a ritirare i loro fondi disinvestendo: «E se per caso una rivoluzione dice "quei fondi sono nostri e li vogliamo indietro"? Pensate agli effetti destabilizzanti». I soldi libici nell’economia italiana non sono poca cosa: il 7,5% di Unicredit è in mano alla Lybian Investment Authority (Lia) e alla Central Bank of Libya, così come il 2,01% di Finmeccanica, il 7,5% della Juventus, il 2% di Eni.In serata, parlando a Helsinki coi giornalisti, il premier Silvio Berlusconi è anch’egli intervenuto diffusamente sulla crisi libica, escludendo per ora l’ipotesi di un intervento armato, che non è stato oggetto di discussione del vertice del Ppe: «Di questo non ne abbiamo parlato». Il presidente del Consiglio ha quindi riassunto la posizione dei capi di governo popolari: «Ho parlato del piano umanitario che l’Italia si appresta a realizzare ed ho invitato anche gli altri a fare lo stesso. Su questo c’è stata totale sintonia». In Libia bisogna «continuare a dare il nostro impulso ai movimenti democratici». La questione dei rapporti economici fra Roma e Tripoli sta molto a cuore al premier, come a Tremonti. Sull’eventuale congelamento partecipazioni libiche in Europa e in Italia (qui le più rilevanti sono in Unicredit e Finmeccanica), ha detto che «... occorre distinguere bene sulle partecipazioni della Libia in quanto popolo libico e le partecipazioni che invece sono attinenti ad una famiglia (Gheddafi, ndr): quindi staremo molto attenti ad una distinzione».L’emergenza attuale comunque è umanitaria e riguarda gli emigrati egiziani fuggiti in Tunisia. Il ministro degli Esteri Frattini ricorda che vivono «in condizioni inumane e bisogna intervenire con grande rapidità». La squadra di esperti della Farnesina e della Protezione civile è da ieri in Tunisia per organizzare i campi profughi. Oggi partirà da Catania il pattugliatore Libra della Marina militare. Elisabetta Belloni, direttore generale della Cooperazione della Farnesina, spiega che «siamo il primo Paese a portare in Libia aiuti alimentari, forniti dalla Coop, insieme a generatori, potabilizzatori e kit sanitari». La missione, aggiunge, «non è esente da rischi, per questo sulla nave ci sono militari del reggimento San marco». Gli autobus del governo di Tunisi porteranno i profughi a Djerba, da lì con quattro voli al giorno i C130 italiani li trasferiranno in Egitto.
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