lunedì 23 febbraio 2015
Continuano le violenze contro i migranti. Il governo libico legale chiede armi e rivede i rapporti economici con l'estero. Preoccupazione per le armi chimiche conservate nel deserto.
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La Chiesa copta ortodossa ha istituito una "unità di crisi" per raccogliere dati e notizie su tutti gli egiziani che si trovano ancora in Libia, in modo da aiutarli a evacuare il Paese e fare ritorno a casa. La decisione è stata presa dopo la drammatica vicenda dei lavoratori cristiani rapiti e uccisi dai terroristi del Califfato (Isis o Is). Il "Comitato di crisi", riferisce l'Agenzia Fides, fa capo a Anba Raphael, segretario del Sinodo della Chiesa copta ortodossa, e sta raccogliendo in particolare informazioni tra le famiglie dei copti emigrati in Libia per motivi di lavoro, per poi provvedere al loro rientro in coordinamento con le istituzioni militari e civili egiziane. L'indicazione rivolta alle famiglie è quella di fornire al comitato, entro il 28 febbraio, notizie utili che aiutino a contattare i propri parenti emigrati in Libia, per poi elaborare piani di rimpatrio dalle varie regioni libiche, a partire da quelle più interessate dai conflitti. Migranti picchiati senza pietà Seminudi e inginocchiati di fronte ai loro aguzzini che li minacciano con i kalashnikov mentre altri attorno li colpiscono con secchiate d'acqua gelida. Sono le torture a cui sono sottoposti alcuni rifugiati siriani in Libia che si erano affidati agli scafisti per arrivare in Italia. Lo rivela un video pubblicato in esclusiva dal Daily Telegraph. Nel filmato si vedono anche i rifugiati che vengono frustati uno ad uno dagli scafisti prima di entrare all'interno di un edificio dove sono rinchiusi come prigionieri. Il governo libico vuole armi: ci rivolgeremo ai fratelli arabi Il ministro degli Esteri libico, Mohamed Al-Dairi, critica Stati Uniti ed Europa per la mancata cancellazione dell'embargo sulle armi e afferma che la Libia, alla luce delle perplessità della comunità internazionale, il governo cercherà il sostegno dei suoi "fratelli arabi". "Europei e americani hanno fatto lobby all'Onu per porre la condizione che avremmo dovuto di formare un governo di unità nazionale prima che l'embargo sia tolto", ha detto il ministro citato da Libya Herald. "Chiediamo armi per l'esercito libico che risponde al governo, riconosciuto internazionalmente. Non ci sono ragioni di temere che le armi finiranno nelle mani degli estremisti", ha aggiunto. Armi chimiche, preoccupazioni per il sito di Ruwagha C'è preoccupazione che possano cadere in mano ai terroristi. Ma il sito di armi chimiche di Ruwagha in Libia "è al momento ancora sicuro e non vi è stato alcun accesso" non autorizzato. Lo assicura la rappresentanza della Libia all'Opac, legata al governo riconosciuto di Tobruk, secondo quanto riferiscono fonti qualificate. A protezione del sito, vi sono una quarantina di soldati delle forze regolari. Anche se ci si chiede se siano sufficienti, di fronte a un possibile attacco di terroristi molto determinati. Nel sito di Ruwagha, nella provincia centrale di Jufra, nel Fezzan, Muammar Gheddafi concentrò tutto il suo programma di armi chimiche, poi dichiarato all'Organizzazione per la proibizione delle armi chimiche in base all'adesione nel 2004 alla Convenzione sulle armi chimiche. Dopo il completamento della distruzione dell'arsenale chimico più pericoloso (categoria 1) nel febbraio 2014, restano a Ruwagha 846 tonnellate di "precursori" (categoria 2), di cui 27 tonnellate di agenti chimici estremamente pericolosi in quanto composti base per il gas nervino Soman. Guerra anche economica Il governo libico ha deciso di "rivedere tutti i contratti con le aziende straniere ed escludere le compagnie turche dalla possibilità di operare nel Paese". Lo afferma un comunicato dell'esecutivo, costretto a riunirsi a Tobruk. Il governo, riconosciuto internazionalmente, accusa la Turchia di sostenere le milizie al potere a Tripoli. L’interscambio Italia-Libia L'interscambio tra Italia e Libia, anche se in calo, ha superato nettamente i 6,5 miliardi nel 2014, con le importazioni che hanno raggiunto i 4,5 miliardi e le esportazioni che sono superiori ai 2 miliardi di euro. È quanto emerge da una analisi della Coldiretti dopo la decisione del governo libico di rivedere tutti i contratti con le aziende straniere ed escludere le compagnie turche dalla possibilità di operare nel Paese. Nonostante rispetto allo scorso anno le importazioni siano praticamente dimezzate (-48 per cento) e le esportazioni siano calate del 19 per cento, la Libia, sottolinea la Coldiretti, rimane un partner commerciale importante per l'Italia dove sono oltre 1500 le imprese coinvolte nell'export. Dalla Libia si importano soprattutto petrolio e minerali e manifatturiero mentre si esporta manifatturiero, con una forte crescita negli ultimi anni per l'agroalimentare, anche se l'instabilità politica ha tagliato del 25 per cento le esportazioni di prodotti agroalimentari italiani nel 2014. Lo scorso anno il valore del Made in Italy agroalimentare esportato in Libia è sceso - sottolinea la Coldiretti - ad un valore attorno a 160 milioni di euro. Per motivi culturali e religiosi sono praticamente nulle le esportazioni di vino, formaggi e salumi, mentre l'ortofrutta è il prodotto alimentare italiano più richiesto con una valore delle esportazioni attorno ai 50 milioni di euro nel 2014, in calo del 22 per cento rispetto all'anno precedente.
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