domenica 3 aprile 2011
Le comunità cristiane sono ovunque minoranza nel Nordafrica e in Medio Oriente. E devono fare i conti con limitazioni più o meno forti della libertà religiosa. Come vivono gli avvenimenti che stanno interessando la regione? Viaggio-inchiesta tra speranze di cambiamento e preoccupazioni per il futuro La "libertas Ecclesiae" come bussola per giudicare la transizione.
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Quali ripercussioni avrà ciò che sta accadendo nel mondo arabo sulla vita dei cristiani? L’interrogativo corre sulla bocca di tutte le comunità, autoctone e immigrate, che vivono nella vasta area che si estende dal Marocco all’Iraq. Un’area attraversata da una febbre di rinnovamento economico, istituzionale e sociale, ma dove ci si interroga sulla direzione che i cambiamenti potranno assumere. Nessuno, infatti, può garantire che il "dopo" sarà migliore della situazione attuale. La sindrome irachena è presente agli occhi di tutti. Da comunità tutelata e relativamente libera sotto il governo di Saddam Hussein, i cristiani hanno dovuto subire ogni sorta di soprusi nello scenario post-dittatoriale. Il metro di misura per un cristiano arabo (come per tutti i cristiani) è semplicemente questo: che la "libertas Ecclesiae" non venga a mancare dove esiste già, e sia garantita laddove ancora non c’è. Non per la difesa di un privilegio di parte, ma per il bene di tutti, cristiani e non. Perché la libertà religiosa, come ebbe a dire pochi mesi fa il Papa, «è elemento imprescindibile di uno Stato di diritto; non la si può negare senza intaccare nel contempo tutti i diritti e le libertà fondamentali, essendone sintesi e vertice». LIBIA Nel mezzo della guerra civile. La Chiesa come unico aiutoDi tutte le rivolte arabe, solo quella libica ha assunto l’aspetto di una vera e propria guerra civile, caratterizzata in più dall’intervento internazionale. Il Vicario apostolico di Tripoli, monsignor Giovanni Innocenzo Martinelli, non si stanca di ribadire che «occorre fermare le armi e avviare subito una mediazione per risolvere la crisi in modo pacifico». Quanto alla situazione dei cattolici, che in maggioranza sono immigrati provenienti dall’Eritrea, il prelato francescano assicura che si sta attivando per trasferirli verso il confine con la Tunisia. «La nostra comunità, i lavoratori cristiani – spiega Martinelli – sono ancora qui e non possiamo abbandonarli. Prego e spero che tutto questo finisca prima possibile». A Tripoli – riferisce la Caritas italiana – i religiosi aiutano come possono tutti quelli che si rivolgono a loro, in coordinamento con le organizzazioni locali di assistenza». «Alcuni eritrei – riferisce padre Sandro Depretis, sacerdote in missione in Libia – sono stati derubati delle loro poche cose, altri sono stati invitati ad andarsene. Ora stanno nascosti ed è ancora più difficile aiutarli».TUNISIA Un sacerdote assassinato e la richiesta di uno Stato laicoLa piccola comunità locale, costituita in gran parte da lavoratori occidentali e africani, ha seguito con trepidazione la rivolta contro il regime di Ben Ali. Il vescovo di Tunisi, monsignor Maroun Lahham, ha parlato di funzioni religiose ridotte o sospese causa della situazione. Il peggio è, invece, arrivato dopo il trionfo della rivolta quando, il 18 febbraio, un prete polacco è stato trovato ucciso con uno squarcio alla gola. Il sacerdote, Marek Marius Rybinski, di 34 anni, prestava servizio alla scuola dell’opera salesiana di Manouba. Le autorità tunisine e il principale movimento islamico, Ennahda, hanno condannato con fermezza l’assassinio. Monsignor Lahham ha rivelato che la comunità salesiana aveva ricevuto la settimana precedente una lettera con una croce uncinata che diceva: «Consegnate il vostro denaro, sporchi ebrei, e andatevene». Il giorno successivo centinaia di tunisini hanno manifestato a Tunisi a favore di uno "Stato laico". «Siamo scesi in piazza – ha detto uno degli organizzatori – per mostrare che la Tunisia è un Paese tollerante che respinge il fanatismo».EGITTO Preoccupati dall’ascesa dei Fratelli musulmaniI cristiani sono stati un po’ restii a partecipare ai primi sit-in di protesta in Piazza Tahrir del Cairo. L’anno 2011 si era, infatti, aperto con un gravissimo attentato terroristico contro una chiesa di Alessandria. Poi, a poco a poco, i copti si sono uniti alle rivendicazioni di un cambiamento in senso democratico nel Paese. Parlando il 23 febbraio a Radio Vaticana, il patriarca di Alessandria dei copti cattolici ha detto che per l’Egitto «si apre ora l’occasione reale di diventare un Paese moderno». «Ciò che sta arrivando – ha precisato il cardinale Antonios Naguib – è certamente una ventata di democrazia, di uguaglianza e di cittadinanza. È molto bello». L’Egitto, ha aggiunto, «si definiva uno Stato democratico, ma in realtà era una dittatura presidenziale che della democrazia aveva soltanto il nome. Adesso sentiamo che c’è un cambiamento». La comunità cristiana non nasconde tuttavia la sua preoccupazione circa una crescente influenza politica dell’islam politico nell’Egitto del dopo-Mubarak. «I Fratelli musulmani – ha detto ancora Naguib – sono benvenuti se rispettano gli altri, l’uguaglianza e le leggi civili del Paese». Le tensioni interreligiose sembravano essersi allentate con la rivoluzione, quando l’8 marzo è tornato il panico dopo la registrazione di gravi scontri tra cristiani e musulmani che hanno provocato 13 morti e 140 feriti. Gli scontri sono scoppiati al Cairo quando i cristiani, che sono la maggioranza nel quartiere orientale di Muqattam, sono scesi in piazza per protestare contro l’incendio appiccato a una chiesa a sud della capitale. Secondo un sacerdote locale, i manifestanti sono stati attaccati da «delinquenti e salafiti» armati, che hanno anche dato alle fiamme abitazioni e negozi. Tre giorni dopo gli scontri, tuttavia, centinaia di egiziani cristiani e musulmani, con in mano croci e copie del Corano, si sono dati appuntamento in piazza Tahrir, in segno di solidarietà interconfessionale. Agitando bandiere nazionali e striscioni inneggianti all’unità tra musulmani e cristiani, i manifestanti hanno poi pregato in piazza.ALGERIA E MAROCCO Finora lotte per la libertà «intelligenti e sagge»Il movimento di protesta in questi Paesi non ha avuto – almeno finora – un largo seguito. Il re del Marocco si è, infatti, affrettato ad annunciare la prossima adozione di riforme costituzionali "globali", mentre il governo di Algeri ha revocato lo stato di emergenza, in vigore da 19 anni. Riuniti in assemblea il 28 marzo, i vescovi dell’Africa del Nord hanno detto di riconoscere nei recenti avvenimenti che si sono verificati nei loro Paesi «una rivendicazione legittima di libertà, di giustizia e di dignità, in particolare da parte delle giovani generazioni». Sul numero di marzo del mensile della diocesi di Laghouat-Ghardaïa, in Algeria, monsignor Claude Rault osserva che questi movimenti hanno dato prova di una stupefacente maturità. Il presule rimarca che non è la pressione islamista ad aver originato manifestazioni, rivolte e reazioni popolari, ma che si tratta di qualcosa che scaturisce «dal profondo della coscienza umana, avida di dignità, di rispetto, di giustizia e di democrazia», «una sorta di lucidità collettiva che non manca né d’intelligenza né di saggezza», qualcosa che ha unito musulmani e cristiani nello stesso slancio. «Certo – aggiunge monsignor Rault – i popoli coinvolti adesso devono gestire questo movimento e condurlo verso l’avvenire senza che venga sviato dal suo scopo».SIRIA L’ombrello di Assad regala protezioneSolo venerdì scorso si è parlato della partecipazione di piccoli gruppi di cristiani alle manifestazioni in corso nel Paese da 15 giorni. Un primo gruppo si sarebbe unito ai manifestanti curdi di Qamishli, nel nordest, mentre un altro gruppo, proveniente da Wadi an-Nasara, la Valle dei cristiani, avrebbe partecipato alle manifestazioni a Homs. La posizione delle autorità ecclesiastiche rimane decisamente favorevole al dialogo e c’è fiducia nelle promesse di riforme fatte ultimamente dal presidente Assad. La Siria, in fondo, è l’unico Paese del Medio Oriente a non aver assistito a un esodo di massa dei suoi cristiani per motivi politici o di agitazioni interne. Pur confermando le notizie di proteste e arresti, il Vicario apostolico ad Aleppo, ritiene un’esagerazione dei mass media le notizie su "centinaia di morti" negli ultimi giorni. I disordini, ha detto monsignor Giuseppe Nazzarro, sono concentrati nel sud del Paese «agitato da tensioni di origine tribale e da un diffuso sottosviluppo» e non hanno nulla a che vedere con il complesso tessuto religioso e sociale della Siria. La quale, secondo Nazzaro, «può essere additata come esempio della pacifica convivenza tra le fedi e rispetto dei cristiani in Medio Oriente». Il mantenimento di un quadro di laicità istituzionale (l’islam è "solo" la religione del capo dello Stato) assicura, infatti, ai cristiani un trattamento tendenzialmente egualitario rispetto agli altri siriani, in nome di un concetto comune più ampio di "arabità". La minaccia del fondamentalismo è stata arginata con la repressione sin dal 1982, rafforzando in tal modo la coesione dei cristiani attorno a un governo considerato "garante" della loro sopravvivenza. La situazione della minoranza cristiana appare, di conseguenza, precaria e legata al perdurare di un regime autoritario anch’esso minoritario (alauita, una setta sciita, equivalente all’11 per cento della popolazione). Da qui l’estrema prudenza manifestata dai cristiani verso un governo che tutela la loro libertà nell’immediato, anche se questo potrebbe esporli a ritorsioni da parte di un futuro potere sunnita. I PAESI DEL GOLFO Il grande timore di uno scontro sciiti-sunnitiDei sette Paesi della Penisola arabica due sono oggi interessati da violente agitazioni: il Bahrein e lo Yemen. Come in tutti gli Stati arabi del Golfo, i cristiani sono lavoratori stranieri di varia provenienza: europea, mediorientale e asiatica. Quelli occidentali vivono generalmente in compound lontani dai centri abitati e ben protetti. Il Bahrein si distingue dai suoi vicini per aver nominato una donna cristiana di origine irachena, Alice Samaan, a membro del Consiglio consultivo istituito dal re. Nello Yemen, nonostante l’esiguo numero dei cristiani, lavorano a stretto contatto con la gente diversi missionari, come le suore di Madre Teresa. Negli anni scorsi, si sono verificati nel Paese diversi attentati contro residenti cristiani accusati di proselitismo. Agitazioni minori – subito circoscritte – hanno interessato anche l’Arabia Saudita, il Kuwait e l’Oman. Nei primi due Paesi vivono importanti comunità cristiane. Il timore dei cristiani è quello di vedere le proteste degenerare in una lotta aperta tra sunniti e sciiti, di cui farebbero le spese. La situazione rimane, per fortuna, tranquilla negli Emirati arabi uniti, sede del Vicariato d’Arabia, dove le chiese cristiane sono molto attive.
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