sabato 7 maggio 2016
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Sterminata, indaffarata, misteriosa. Di volta in volta avara e prodiga, caotica e ordinata, scandalosamente diseguale ma al tempo stesso accogliente: un posto complicato e perennemente in evoluzione, ma in cui un futuro è sempre possibile. Londra non appartiene a nessuno, e così tutti possono almeno sperare di rivendicarvi un posto. La pensava così anche il pachistano Amanullah Khan quando si trasferì qui alla fine degli anni Sessanta insieme alla moglie Sehrun. Conducente del bus numero 44 lui, sarta casalinga lei, tra un turno straordinario e non pochi insulti razzisti Amanullah e Sahrun crescono otto figli in una casa popolare di Earlsfield, periferia sud-occidentale della capitale. Il quinto di quella nidiata, Sadiq, ha dato ieri ragione a tutti quei sacrifici, entrando a City Hall con la carica di sindaco. Lui che fino a 24 anni, ovvero fino al matrimonio con Saadiya Ahmed, era ancora costretto a dormire in un letto a castello in quella casa così piena. Oggi il 45enne Khan dubita che un autista di bus possa permettersi di vivere nella zona in cui è cresciuto: la gentrificazione, l’imborghesimento, ha cambiato anche il distretto di Tooting, dove mediamente oggi una casa si vende per oltre 800mila sterline. Non sorprende, allora, che uno dei punti su cui ha basato la sua campagna sia il nodo abitazioni: l’obiettivo è di costruirne 80mila l’anno a prezzi sostenibili. Per garantire che anche i nuovi arrivati, come suo padre, possano incontrare a Londra il loro futuro. «I miei genitori lavoravano tutto il tempo e mandavano denaro ai parenti in Pakistan – ricorda –. Mia madre credo lo faccia ancora, perché noi siamo fortunati a vivere in questo Paese». Khan e i suoi fratelli crescono tirando di boxe in un club di Wandsworth. Tra quelle strade possedere un buon jab poteva tornarti utile per difenderti in qualche situazione scomoda. Il razzismo Khan lo incontra presto, anche negli stadi, lui che all’epoca è tifoso del Wimbledon, i fratelli del Chelsea. «Mi ricordo contro il Tottenham in cui venni insultato pesantemente per le mie origini. Non sono più tornato a Plough Lane». Oggi, sottolinea, da questo punto di vista i progressi sono stati enormi. «Le mie figlie, Anisah e Ammarah, sono cresciute nella mia stessa zona, ma non hanno mai subito attacchi razzisti». Appassionato telespettatore di LA Law, Khan studia legge alla University of North London, specializzandosi in diritti umani. Nel frattempo si iscrive giovanissimo al Labour e a 24 anni è già assessore a Wandsworth. Inizia a lavorare presso lo studio legale di Louise Christian impegnandosi per i diritti civili e difendendo, tra gli altri, il controverso Louis Farrakhan, leader della Nazione dell’islam, e Babar Ahmad, amico d’infanzia accusato di «estremismo online» negli Usa. Khan per anni si oppone alla sua estradizione, vicenda che i suoi detrattori hanno recentemente cercato di sfruttare. Nel 2004, ad appena 34 anni, Khan si candida a deputato nel collegio di Tooting e l’anno dopo entra in Parlamento, dove spesso si scontra con l’allora premier Tony Blair, opponendosi alla guerra in Iraq e ai tentativi di introdurre un fermo di 90 giorni per i sospetti terroristi. «Dopo gli attentati del 7 luglio 2005 Blair chiamò me e gli altri tre deputati di fede islamica dicendo che la responsabilità era nostra. Gli risposi che io non davo la colpa a lui per il Ku Klux Klan. Dobbiamo sconfiggere l’estremismo restando uniti». Ministro per le Comunità locali con Gordon Brown nel 2008, poi ai Trasporti, Khan è nel 2010 fra i principali sostenitori della campagna di Ed Miliband, a scapito del fratello David, per la leadership laburista. Cinque anni dopo, sostiene Jeremy Corbyn, per prendere poi le distanze dal nuovo leader e dalle sue politiche. «È più centrista », dicono i suoi fan. «Più opportunista ora che Corbyn è in difficoltà», rispondono i detrattori. Che ricordano anche il suo recente dietrofront sull’espansione dell’aeroporto di Heathrow. Contrario alla Brexit, pro-impresa, minacciato più volte di morte, Khan sottolinea spesso che la sua storia è la storia di Londra, una metropoli con 8,6 milioni di abitanti in cui il 44 per cento della popolazione appartiene a minoranze etniche. Ma il nodo, evidentemente, è la sua fede, questione sulla quale la domanda arriva sempre. «È parte di ciò che sono, ecco il modo migliore per descriverla. Tutti abbiamo diverse identità: sono londinese, britannico, inglese. Sono di origini asiatiche e di cultura pachistana. Sono un padre, un marito, un laburista. Un tifoso spesso sofferente del Liverpool. E sono islamico». Da oggi, come sindaco, dovrà aggiungere almeno un’identità in più. © RIPRODUZIONE RISERVATA
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