sabato 23 dicembre 2023
I combattimenti di questi giorni nello Stato di Jazira, granaio del Paese, stanno accrescendo il problema del cibo: 5 milioni di persone a rischio carestia. E dilaga il colera: già 6mila casi certi
Sempri più minori stanno lasciando le loro case e sfollando

Sempri più minori stanno lasciando le loro case e sfollando - Ansa

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L’incubo «della fame e di una divisione in due entità modello Libia». Otto mesi dopo lo scoppio della guerra civile ormai quasi totalmente dimenticata, sul Sudan si allungano questi due spettri.

Secondo Ocha, l'agenzia Onu per l'assistenza, i bisogni umanitari sono aumentati e quasi 25 milioni di persone necessitano ora di assistenza. Più di 6,8 milioni sono state costrette a lasciare le proprie case per mettersi in salvo, di cui 1,4 milioni rifugiati nei paesi limitrofi. Oggi il Sudan è la nazione con il maggior numero di sfollati interni al mondo.

Quasi cinque milioni sono alla fame. Sono oltre 6.000 i casi di colera dovuti alle precarie condizioni igienico sanitarie con decine di morti secondo Caritas italiana. Preoccupano in particolare le ripercussioni dei combattimenti scoppiati il 15 dicembre nello Stato di Jazira, nel Sudan meridionale, tra i paramilitari delle Forze di supporto rapido (Rsf) e le forze armate sudanesi che si contendono dalla metà di aprile il controllo del Paese.

La regione è il granaio del Paese, qui si producono in media 350.000 tonnellate di grano sufficienti a sfamare circa 6 milioni di persone, ma gli scontri e l’ulteriore aumento di prezzi di fertilizzanti e carburante già rincarati per la guerra in Ucraina stanno mettendo a rischio i raccolti della prossima primavera. Lo scoppio delle ostilità in questa area agricola strategica ha inoltre costretto il Programma alimentare mondiale, l'agenzia delle Nazioni Unite per il cibo, a sospendere temporaneamente l'assistenza alimentare.

Il Sudan al momento è diviso in due. A ovest da mesi nel Darfur, già martoriato 20 anni fa dalla guerra genocidaria voluta dall'allora presidente al-Bashir, si segnalano quotidianamente violenze, saccheggi e stupri di massa e omicidi di civili da parte delle Forze di supporto rapido, appartenenti a tribù arabofone, che impiegano le stesse tecniche di pulizia etnica di 20 anni fa contro le tribù di origine africana. Dal punto di vista militare la situazione pare essersi qui assestata a favore dei paramilitari che sono riusciti ad annullare la superiorità aerea delle forze armate sudanesi con l’utilizzo dei missili antiaerei forniti secondo alcuni analisti, dagli alleati dall’ex gruppo Wagner, presenti nel Darfur per sfruttarne per conto di Mosca le ricche miniere d’oro.

La Cnn aveva rivelato che grazie a questo oro Putin aggirerebbe l’embargo per pagare la guerra in Ucraina. Un foraggiamento delle casse del Cremlino che i sopravvissuti del gruppo Wagner e le nuove formazioni in “outsourcing” dell’esercito russo stanno compiendo in altri Paesi africani della fascia subsaheliana.

Intanto, le Forze di supporto rapido guidate dal generale Dagalo, detto «Hemetti», stanno preparando l’assalto finale alla città di El Feshir per il controllo totale del Darfur. In questo modo avrebbero pieno controllo del confine con la Cirenaica libica, controllata dal generale Haftar con l’aiuto ancora una volta dell’ex gruppo Wagner.

La divisione in due rischia di consolidarsi proprio sul modello libico secondo il quotidiano egiziano New Arab che ha sentito parecchi commentatori e osservatori politici sudanesi.

Al comandante delle forze armate sudanesi generale al-Burhan che in questi mesi si è assestato a Port Sudan resterebbe la parte orientale mentre Khartoum è controllata a macchia di leopardo dai due schieramenti.

All’esercito regolare, che sconta parecchie diserzioni di intere guarnigioni, resterebbe il controllo dell’accesso al Mar Rosso e alle sue rotte commerciali mentre a Port Sudan finisce l'oleodotto che parte in Sud Sudan e rifornisce di petrolio la Cina. Ma di pace non parla nessuno.

Intanto Caritas Italiana, sin dall’inizio accanto alla popolazione sostenendo gli interventi della Chiesa e della rete Caritas nei diversi Paesi di accoglienza dei profughi, si unisce ai ripetuti appelli del Papa e dei vescovi sudanesi e sudsudanesi per un immediato cessate il fuoco, per la garanzia dell’accesso agli aiuti umanitari, la tutela della popolazione civile, lo stanziamento dei fondi necessari all’assistenza umanitaria di sfollati e comunità ospitanti.




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