sabato 6 aprile 2024
Il massacro del 1994 è stato anche la "prova generale" per un decennio di stravolgimenti del potere, guidato dalle economie più forti
I bagni di sangue in Ruanda e le ideologie fallaci per la nuova colonizzazione

Ansa

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Spiegava John le Carré, agente del Secret intelligence service britannico prima di diventare scrittore di best seller, che per far compiere a qualcuno l’attentato perfetto bisogna solo illuderlo di agire solo per una causa più grande. Anche per questo qualcuno ha letto, nella follia di una maggioranza di popolo contro una minoranza, l’unica spiegazione plausibile di un genocidio che di spiegazioni non ne ha. Sono stati creati ideologi, idee fallaci e montato odio a sufficienza da armare di qualsiasi oggetto che potesse uccidere, padri di famiglia, nonni, nipoti: hutu contro tutsi per semplificare ciò che di semplice non è.

Così solo dopo alcuni anni il disegno generale si sarebbe rivelato, con la cacciata dall’Africa centrale dei francesi e di ciò che restava dei belgi, con la prima e la seconda guerra del Congo e con un manipolo migrante di miliziani pronto a rispondere efficacemente alle chiamate alle armi di “capetti” politici locali che ben presto si sarebbero rivelati dittatori. Il genocidio del Ruanda, insomma, è stato il primo passo di una nuova colonizzazione, la prova generale, l’esordio accelerato della caccia alle risorse per le future tecnologie che la gente locale si illudeva di poter governare (con la “democrazia”) dopo averle riottenute negli anni Sessanta con le tante guerre di liberazione con cui si è tirato un colpo di spugna sui confini artificialmente disegnati dai burocrati e plutocrati seduti al tavolo della Conferenza di Berlino del 1884.

Si è passati prima dal Ruanda e dal genocidio immane padre di tutte le guerre del decennio successivo, poi dall’allora Zaire tornato Congo grazie alla “goioisa” macchina da guerra allestita nell’Est del Cuore di tenebra dal corrotto Laurent-Désiré Kabila: un politicante a geometrie variabili nelle alleanze arrivato con troppa facilità a Kinshahsa mentre il dittatore Mobutu fuggiva in Francia dove sarebbe morto prima di vedere l’alba del nuovo millennio. Basterebbe fermarsi qui per capire che dietro ai massacri, alle guerre alle falsamente reclamizzate risoluzione c’era solo la regia del profitto. Kabila, prima di cominciare a macinare chilometri in Congo dal Kivu verso Occidente, nella boscaglia e sul cofano di un fuoristrada, aveva firmato decine di concessioni minerarie a società multinazionali controllate dagli americani. L’attuale ed eterno presidente ruandese Paul Kagame, dopo il genocidio e una volta diventato l’eroe della liberazione di Kigali e della vendetta di un popolo decimato, ha fatto buoni affari con tutti. Imparando dall’alleato di un tempo e poi rivale Yoweri Museveni, il quale dal 29 gennaio 1986 è presidente e re dell’Uganda per volontà di americani, russi cinesi che ora fanno il bello e il cattivo tempo in un continente dove piove soltanto una volta all’anno. In mezzo a tutto questo, trent’anni fa tra le mille colline ruandesi oppure oggi nell’est del Congo, in Sudan o nell’occidente costiero dei Paesi sotto golpe, c’è sempre quella gente comune. Che ha la stessa faccia, nonostante i finti odi indotti dai sobillatori: la faccia di chi per sopravvivere deve lasciare tutto e fuggire. Dalla sera al mattino in cerca di una tranquillità che ancora stenta a sorgere.

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