martedì 18 novembre 2014
Stop ai colloqui di pace con le Farc. Il sequestro del generale Alzate innesca la crisi con il governo.
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Nessuno siede al tavolo della pace dell’Avana. Né i delegati dell’esecutivo di Bogotà né i vertici guerriglieri delle Fuerzas Armadas Revolucionarias de Colombia (Farc). Tutte le sedie intorno sono vuote. E, con quasi totale certezza, lo resteranno anche domani, quando i negoziati avrebbero compiuto due anni dall’inizio ufficiale. Un momento «storico e cruciale» si preparavano a dire politici e analisti. Non immaginavano, però, fino a tal punto. Da domenica notte, il processo di pace è «sospeso», ha spiegato il presidente Juan Manuel Santos. Per questo, i rappresentanti del governo non sono partiti per Cuba, come previsto, per l’ennesima tornata di colloqui. E non lo faranno – ha tuonato Santos– fino a quando il generale Rubén Darío Alzate e i suoi collaboratori non saranno liberati. In altre parole, le trattative per la fine del conflitto cinquantennale – il più lungo dell’America Latina – sono appese all’esito del triplice sequestro avvenuto domenica pomeriggio nella regione del Chocó, nella Colombia nord-occidentale. Là il generale Alzate e due assistenti facevano un’ispezione a un impianto energetico lungo il fiume Atrato. Secondo le prime ricostruzioni, il generale avrebbe deciso di fermarsi nel remoto villaggio di Las Mercedes, una zona controllata dal Fronte 34 della guerriglia. Fonti militari sostengono che sarebbe stato consigliato a Alzate di non sostare alla Mercedes. Quest’ultimo avrebbe, però, infranto il protocollo di sicurezza, da qui la cattura. Mai, in mezzo secolo di battaglie, le Farc avevano sequestrato un generale. Perché proprio ora? Dal gennaio 2012, la guerriglia aveva messo fine ai sequestri estorsivi. Certo, il “caso Alzate” non rientra nella categoria: è un militare e, dunque, considerato «prigioniero di guerra». Con tale presupposto, sono stati rapiti, il 9 novembre, due soldati in combattimento. Dato che i negoziati si svolgono senza una tregua preventiva, gli scontri proseguono. Eppure, dall’inizio dei colloqui, la guerriglia ha evitato le “azioni spettacolari”. Perché riprenderle? Difficile pensare che la trattativa dell’Avana sia solo l’ennesima farsa delle Farc per recuperare tempo e forze in vista di una ripresa dell’offensiva. Meno di un mese fa, i capi supremi delle Farc erano a Cuba, con l’assenso del governo di Bogotà, per dare manforte ai colloqui. E, poco dopo, erano arrivate le prime “scuse” ufficiali ai colombiani dai guerriglieri. Appena una settimana fa, il presidente Santos – nel suo tour europeo – ha definito il 2015 come «l’anno della pace» per la Colombia. Che cosa è cambiato ora?Probabilmente niente. Le Farc non sono un gruppo coeso: i Fronti hanno acquisito, negli ultimi anni, ampi margini di autonomia. E alcuni, soprattutto quelli più legati alla criminalità e al narcotraffico, hanno tutto l’interesse nel boicottare il processo di pace che ne implicherebbe la smobilitazione. E la fine del business. Paradossalmente, questo accomuna i gruppi più radicali della guerriglia al loro acerrimo nemico, l’ex presidente Álvaro Uribe, feroce oppositore dei negoziati. Non a caso, è stato proprio quest’ultimo il primo ad annunciare con enfasi su Twitter, il sequestro del generale, intuendone i risvolti. A differenza dell’opinione pubblica mondiale, quella nazionale è perplessa sulle trattative. Ogni ora che Alzate resta nella giungla, la quota di scettici cresce. E con essa le pressioni su Santos perché lo stop diventi definitivo. Mai, come ora, la pace sembra lontana.
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