mercoledì 23 maggio 2012
Il presidente dei vescovi americani dopo la denuncia contro Obama: la nostra è una battaglia di libertà. Il ricorso non è sulla contraccezione, ma sulla facoltà di proteggere le donne dallo sfruttamento sessuale.
Lo Stato garantisca libertà la coscienza non ha padroni di Giuseppe Anzani
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​«La Chiesa cattolica americana è stata strozzata» dall’obbligo imposto dall’Amministrazione Obama di offrire ai propri dipendenti copertura sanitaria per metodi contraccettivi. Timothy Dolan, arcivescovo di New York e presidente della Conferenza episcopale americana, è tornato ieri a spiegare i motivi della denuncia sporta contro il governo di Washington dalle principali organizzazioni cattoliche Usa. «Sembra che l’amministrazione ci voglia punire per servire il più ampio numero di persone possibile, senza chiedere un certificato di battesimo alla porta», ha detto il cardinale dagli studi della rete Cbs. Dolan faceva riferimento all’unica eccezione che il ministero alla Salute americano ha previsto per l’obbligo di copertura assicurativa dei metodi contraccettivi. Per essere esenti dalla misura, ospedali, università e enti caritatevoli cattolici devono avere la unica missione di «propagare la fede», impiegare solo cattolici e prestare i loro servizi solo a cattolici. Una limitazione che l’arcivescovo, insieme ai rettori delle principali università cattoliche americane e alla Caritas Usa definisce «una camicia di forza». «Da quando il governo può dire a un’organizzazione religiosa quale deve essere il suo ministero?», ha chiesto, aggiungendo che i vescovi non hanno intrapreso «una battaglia legale contro la contraccezione, ma in difesa della libertà di proteggere le donne dallo sfruttamento sessuale, di fornire cure sanitarie ai meno abbienti e di sfamare i senza tetto – tutte le cose che la Chiesa fa da sempre e che sa fare bene, a beneficio di tutti». Le diocesi statunitensi e decine di associazioni hanno dunque presentato 12 cause legali in diversi Stati. «Questa causa riguarda una delle più apprezzate libertà americane: quella di praticare una religione senza l’interferenza del governo», hanno scritto nel ricorso l’arcidiocesi di Washington e l’Università Cattolica d’America. Mentre il presidente dell’Università di Notre Dame, il più prestigioso ateneo cattolico del Paese, ha fatto sapere di aver deciso di unirsi all’azione legale dopo aver cercato invano di trovare un compromesso accettabile. «Noi non cerchiamo di imporre le nostre convinzioni religiose agli altri – ha spiegato il reverendo John Jenkins – e chiediamo semplicemente che il governo non ci imponga i suoi valori quando questi sono in conflitto con i nostri insegnamenti religiosi». L’ateneo è considerato un baluardo del confronto di punti di vista diversi, e aveva attirato critiche nel 2009 per aver invitato Barack Obama a tenere il discorso di fine anno ai neolaureati, conferendogli anche una laurea ad honorem in legge. Il mondo cattolico e lo stesso cardinale Dolan si sono detti disposti a riprendere il dialogo con la Casa Bianca, «ma solo se ci diranno che sono disposti a rivedere le condizioni per l’esercizio dell’obiezione di coscienza», ha precisato l’arcivescovo, che lo scorso febbraio si era incontrato a tu per tu con Obama proprio per individuare una via d’uscita alla scontro. «Non metto in dubbio la buona fede del presidente – ha aggiunto – e gli credo quando dice di apprezzare il lavoro della Chiesa cattolica e di non volerne impedire l’opera. Ma penso che all’interno della sua amministrazione abbia prevalso un approccio intransigente a tutto ciò che concerne la riforma sanitaria». Nel marzo 2010, Obama riuscì a far approvare dopo un lungo iter in Congresso una legge di riorganizzazione del sistema sanitario che impone a tutti i residenti degli Usa l’obbligo di avere un’assicurazione sanitaria e sovvenziona i costi della copertura per le famiglie del ceto medio-basso. La legge offre anche incentivi alle piccole imprese che offrono benefit sanitari ai loro dipendenti. La misura è stata però respinta dal 26 Stati e il mese prossimo la Corte suprema si pronuncerà sulla sua costituzionalità. Il candidato repubblicano alla presidenza Mitt Romney (che in qualità di governatore del Massachusetts aveva implementato una simile misura) ha promesso di abrogarla se eletto.
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