sabato 27 marzo 2021
I due Paesi hanno firmato un accordo di cooperazione strategica globale di 25 anni. In chiave anti-Usa
Wang Yi e Mohammad Javad Zarif dopo la firma dell'accordo a Teheran

Wang Yi e Mohammad Javad Zarif dopo la firma dell'accordo a Teheran - Ansa

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Quella che si sta saldando è una sorta di nuova “geopolitica” dei Paesi sanzionati. Dagli Stati Uniti. In prima fila c’è la Cina che, con la “benedizione” della Russia, sta spingendo gli equilibri mondiali verso una sempre più accentuata polarizzazione in chiave anti-statunitense. In mezzo c’è l’Iran, prima riabilitata dall’accordo sul nucleare siglato nel 2015, poi “inabissata” con la rottura dello stesso accordo, voluta dall’ex presidente a stelle e strisce Donald Trump. Ieri Pechino e Teheran hanno cambiato passo, firmando un accordo di cooperazione strategica globale di 25 anni.

Nello stesso giorno Pechino ha annunciato l’imposizione di nuove sanzioni, questa volta verso «individui ed entità» statunitensi e canadesi. Nei giorni scorsi analoghe misure erano state prese da Pechino contro europei e britannici dopo la tornata di sanzioni occidentali verso la Cina per la violazione dei diritti umani della minoranza uighura nello Xinjiang. Le basi per l’accordo tra Pechino e Teheran sono state gettate nel 2016, durante un incontro tra il presidente cinese Xi Jinping e il presidente Hassan Rohani nella capitale iraniana.

La Cina poi, in qualità di principale partner commerciale dell’Iran e alleato «affidabile», soprattutto dopo le sanzioni statunitensi del 2018, aveva accettato di aumentare il commercio bilaterale di oltre 10 volte fino a 600 miliardi di dollari nel prossimo decennio. Nulla, insomma, di contingente. La relazione tra Iran e Cina, ha assicurato il ministro degli Esteri cinese, Wang Yi, in visita a Teheran, «non sarà colpita dalla situazione attuale, ma sarà permanente e strategica».

«La cooperazione tra Iran e Cina aiuterà l’attuazione dell’accordo nucleare da parte dei firmatari europei e il rispetto degli impegni assunti nell’ambito dell’intesa», ha detto, a sua volta, il presidente iraniano Hassan Rohani. Una collaborazione che appare anche come una sorta di patto da “banco dei pegni”, con tanto di copertura nel Consiglio di sicurezza Onu.

Strangolata dalle sanzioni Usa, Teheran ha bisogno di vendere petrolio: le esportazioni di greggio sono in caduta libera dal 2018. La Cina, a sua volta, ha bisogno di saziare la sua fame di energia: il petrolio rappresenta circa il 20% del consumo energetico del gigante asiatico che dal 2017 è il più grande importatore mondiale di greggio.

I risultati di questa reciproca convergenza di interessi sono già evidenti. Gli acquisti cinesi di petrolio iraniano sono schizzati a livelli record nel 2021. Negli ultimi 14 mesi, l’Iran ha inviato 17,8 milioni di tonnellate (circa 306.000 barili al giorno) di petrolio alla Cina. Secondo quanto anticipato dal sito “The Diplomat”, il patto di cooperazione siglato ieri fornirebbe un afflusso di capitali cinesi per 400 miliardi di dollari alle (agonizzanti) industrie iraniane, alimentando i settori bancario, delle infrastrutture, delle telecomunicazioni e dei trasporti.

Tutto questo in cambio di petrolio scontato. Ma l’accordo, secondo quanto trapelato, andrà oltre il commercio e gli investimenti e aprirà la strada per un’ulteriore cooperazione militare tra i due Paesi. Cina, Iran e Russia hanno anche condotto esercitazioni militari congiunte senza precedenti nel Golfo di Oman e nell’Oceano Indiano alla fine del 2019, una mossa che ha sollevato forti preoccupazioni di Washington. Il “grande gioco” è, insomma, solo agli inizi.

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