lunedì 21 febbraio 2022
Iuliia Skubytska del War Childhood Museum: «Ogni persona che conosco ha già pianificato cosa farà in caso di conflitto generalizzato»
Iuliia Skubytska nel War Childhood Museum di Kiev

Iuliia Skubytska nel War Childhood Museum di Kiev - Web free

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Ancora prima di una reale, nuova invasione russa o di un attacco che arrivi dal cielo fin sopra la capitale, ad angosciare gli ucraini oggi è la sensazione crescente che il peggio, questa volta, possa davvero arrivare. E che possa colpire ovunque nel Paese, non solo nell’Est. Fa intuire con nettezza l’apprensione che monta, Iuliia Skubytska, direttrice del War Childhood Museum di Kiev. Lo fa al telefono, con le parole e soprattutto con i suoi silenzi, nel mezzo della conversazione.
«Il 2014 è stato traumatico per tutti gli ucraini e da allora la guerra è proseguita, ma nella mente delle persone è stato più semplice localizzarla solo in determinati luoghi del Paese, nell’Est, ed evitare di pensarci. È una reazione umana normale, non si può vivere in allarme per 8 anni. Il punto è, però, che non abbiamo sviluppato una vera immagine di noi come società in guerra. Sfortunatamente, siamo spinti dagli eventi a farlo adesso».
All’ingresso della prima mostra organizzata del War Childhood Museum l’estate scorsa nella capitale, Iuliia Skubytska ci raccontava di grandi progetti, di allestimenti in diverse città per fare conoscere alla società ucraina ciò che da anni stava accadendo alla parte di popolazione direttamente colpita dal conflitto. «Per molti a Kiev la mostra di giugno riguardava il destino di qualcun altro, non il loro. Ora, invece, ogni futuro visitatore non penserà ai bambini del Donbass, ma a se stesso, letteralmente. È un cambiamento di prospettiva». Dal 2018 questo museo indipendente di Kiev, nato sul modello di un istituto fondato in Bosnia, raccoglie testimonianze di bambini che abbiano sperimentato gli effetti della guerra. A venire esposti sono oggetti di uso comune, appartenuti a chi ha vissuto da piccolo il conflitto armato nell’Est, ciascuno accompagnato da una testimonianza. In una teca, accanto al racconto della giovane Oleksandra, c’è la t-shirt che ha indossato per tre giorni consecutivi, sotto un bombardamento. Esposte ci sono le carte da gioco di Artem, usate a lungo in un rifugio, e le «Avventure di Tom Sawyer» di Uliana, con la copertina danneggiata da una granata.
Oltre 160 interviste sono state finora condotte, 33 storie compongono la collezione della mostra che a inizio anno ha avuto il primo allestimento itinerante a Kherson, 100 chilometri dalla Crimea. L’accoglienza è stata positiva ma, spiega la direttrice, «ora tutto è diverso, perché ci occupiamo di un tema troppo doloroso che la gente vuole evitare. La crisi coinvolge tutto il Paese, da settimane siamo sotto un’enorme pressione psicologica. Ogni persona che conosco ha già pianificato cosa farà in caso di guerra generalizza, tutti si sono già consultati con i familiari. Immaginate quale sia l’atmosfera quando si vive con date di scadenza per un’invasione».
In programma c’era un nuovo allestimento a Odessa, ma, dice la direttrice, «ora dobbiamo sederci e capire quale sarà il modo migliore per essere utili ai civili ucraini. In caso di attacco intensificheremo la sensibilizzazione in Europa. Ma se la pace sarà preservata in questa parte del Paese, il primo passo sarà di capire come si sentono le persone che hanno vissuto, per mesi, credendo che la guerra li avrebbe raggiunti da un momento all’altro».

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