venerdì 17 dicembre 2021
La pista russa ha entusiasmato dietrologisti e romanzieri, ma su Lee Harvey Oswald restano ancora punti oscuri
Il memoriale a Kennedy a Dallas

Il memoriale a Kennedy a Dallas - Ansa

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Desecretare quelle millecinquecento pagine che hanno riposato per anni negli archivi nazionali per poi scoprire che nulla di più e nulla di meno si saprà circa la morte di John Fitzgerald Kennedy e dei legami sovietici del suo assassino, Lee Harvey Oswald, è praticamente scontato. Da quasi sessant’anni ci si arrovella attorno alla verità ufficiale – quella della Commissione Warren – e a quella indagata, suggerita, scarnificata (pensiamo solo al «JFK» di Oliver Stone, ma anche al bel biopic di Don De Lillo, «Libra» e alla saga kennediana di James Ellroy in «Sei pezzi da mille»), senza che mai si riesca a venire a capo di quel mistero nazionale che al pari dell’approdo della Mayflower sulle coste del New England, del Lincoln Address all’indomani della battaglia di Gettysburg è oramai potentemente infisso nella memoria collettiva quale mito fondante della perduta innocenza americana.

Lee Harvey Oswald, ex marine, piccolo uomo della Louisiana, una vita sbandata e priva di soddisfazioni, al punto da indurlo a chiedere asilo all’Unione Sovietica, per poi sposare una donna bielorussa a Minsk e rientrare in America ancor più deluso e smarrito, è l’uomo dei grandi misteri americani. Dai documenti d’archivio emerge ora una supposta relazione pericolosa con un agente del Kgb. Ma è poi così strano che un cittadino americano che aveva chiesto asilo a Mosca e si era tagliato le vene dopo che la cittadinanza sovietica gli era stata rifiutata incontrasse membri del controspionaggio russo? Non sappiamo forse già tutto? Non conosciamo già la sua manifesta ammirazione per Fidel Castro, il bisogno ossessionante di compiere un gesto rivoluzionario che lo spinse a prendere di mira il generale ultraconservatore Edwin Walker (attentato fallito, ma che lo convinse a puntare al bersaglio supremo, al presidente che aveva tentato di rovesciare il regime castrista), fino a quei tre colpi sparati dal tetto di un deposito di libri che raggiunsero e uccisero Kennedy a Dallas? Non abbiamo forse nelle orecchie quell’insistente ipotesi che affianca la mafia americana alla Cia agli esuli cubani nel complotto per uccidere il presidente? O forse la sua morte faceva comodo a Krusciov? O ai suoi nemici?

Sì, sappiamo tutto, e quella massa imponente di documenti non farà che intorbidare ulteriormente invece di chiarire quel mistero americano che è talmente avvolto e ingarbugliano nelle sue cento e cento congetture da restare inestricabile. Del resto una non piccola porzione di americani ritiene che non sia stata detta tutta la verità sull’assassinio di Kennedy. Un’ipotesi che attraversa ormai tre generazioni, e che persiste, permane, tiene in vita il più grande dei misteri nazionali; che forse, inconsciamente, appassiona proprio perché è un groviglio insolubile.

Scrive De Lillo: «Tu pensa a due linee parallele. Una è la vita di Lee H. Oswald. L’altra è il complotto per assassinare il presidente. Che cosa congiunge lo spazio fra le due linee? Che cosa rende inevitabile l’incontro? C’è una terza linea. Esce dai sogni, dalle visioni, dalle intuizioni, dalle preghiere, dagli strati profondi della personalità. Non è generata da causa ed effetto come le altre due. È una linea che interseca la casualità, attraversa il tempo. Non ha una storia che possiamo riconoscere o capire. Ma impone una congiunzione. Mette un uomo sulla strada del suo destino». Entro la fine dell’anno prossimo verranno rese note altre migliaia di pagine, altri faldoni, altri documenti finora conservati negli archivi federali. Il Congresso li sta reclamando fin dal 1992, e Joe Biden ha promesso di farla finita, di consegnare finalmente tutto.

Servirà? C’è davvero da dubitarne.

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