sabato 28 febbraio 2009
Niente di fatto al secondo incontro, e il capo del Likud accusa la rivale di irresponsabilità. Ora si va verso un governo senza i centristi di Kadima.
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No e ancora no. Tipi Livni, lea­der del partito centrista Ka­dima, ha rifiutato per la se­conda volta la proposta del premier designato, Benjamin “Bibi” Ne­tanyahu, di entrare a far parte di un governo di unità nazionale. Novanta minuti di faccia a faccia in un gran­de albergo di Tel Aviv non sono bastati a Netanyahu, leader del partito di de­stra Likud, per convincere la Livni ad appoggiare la sua iniziativa. L’attua­le ministro degli Esteri è stata irre­movibile. Pronta, dunque, ad andare all’opposizione. Anche se forse per poco. Netanyahu, ansioso di concludere con la “rivale” un accordo che avreb­be garantito equilibrio e stabilità al suo governo (che rischia altrimenti di essere formato di sole destre e di ri­sultare, come tale, poco spendibile sul piano internazionale) le ha offer­to una partnership su un piano pari­tario nella guida del processo di pa­ce e due dei tre ministeri più impor­tanti. Livni non si è fatta convincere. Mettendo avanti innanzitutto la que­stione dello Stato palestinese, consi­derato una minaccia potenziale dal Likud e invece obiettivo necessario per la Livni. In mattinata, un dirigente del Likud ha parlato in proposito di scuse pre­testuose avanzate dalla Livni per esi­mersi dall’entrare in un governo al­largato. Così, dopo l’incontro con Ne­tanyahu, il ministro degli Esteri ha voluto ribadire, con tono piccato, che «la formula dei due Stati per i due po- poli non è affatto uno slogan privo di contenuto. È una questione di prin­cipio, di sostanza, non un espedien­te ». Altrettanto acidi i toni di Netanyahu, che ha detto di «aver fatto tutto il pos­sibile per raggiungere l’unità» (e quin­di per soddisfare le richieste del pre­sidente Shimon Peres che gli ha affi­dato l’incarico), ma di non essere riu­scito nell’intento a causa del «rifiuto categorico» ricevuto dalla Livni. Un rifiuto «arrivato in un’ora particolar­mente critica», ha sottolineato con malizia Netanyahu, accusando im­plicitamente la rivale di comportarsi in modo irresponsabile. Netanyahu e la Livni non hanno e­scluso nuovi incontri. Ma tutto fa pensare che difficilmente ci sarà un terzo round. E Netanyahu, probabil­mente, finirà per definire intese di go­verno con i radicali di destra di Israel Beitenu, con gli ortodossi di Shas e del Fronte della Torah, e con i nazio­nalisti della Casa Ebraica e di Unio­ne Nazionale. Una coalizione non fa­cile di sei partiti che lascia prevedere una coabitazione rissosa. Una coali­zione, soprattutto, che potrebbe met­tere in serio imbarazzo la nuova Am­ministrazione americana, impegna­ta con determinazione nel processo di pace; e che fa storcere il naso all’U­nione europea, che ha già manife­stato riserve in proposito. E che si sta muovendo con particolare attivismo nella regione. Ieri, nell’ambito del suo tour medio­rientale, è arrivato nella Striscia di Ga­za il capo della diplomazia Ue Javier Solana. L’intenzione è quella di veri­ficare personalmente la devastazio­ne causata nell’enclave dai 22 giorni dei bombardamenti israeliani. Sola­na non incontrerà però i leader di Ha­mas, che la Ue considera organizza­zione terroristica. La missione di So­lana precede di pochi giorni la Con­ferenza dei donatori per la ricostru­zione di Gaza che si aprirà lunedì in Egitto. I 27 hanno annunciato uno stanziamento di 436 milioni di euro.
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