sabato 14 giugno 2025
Netanyahu alza ulteriormente il livello e colpisce gli impianti di greggio di Bandar Abbas e del gas di South Pars. Teheran minaccia di chiudere Hormuz e di colpire le basi Usa, Francia e Regno Unito
Il sobborgo di Ramat Gan, nel nord di Tel Aviv, colpito dai raid iraniani nella notte tra venerdì e sabato

Il sobborgo di Ramat Gan, nel nord di Tel Aviv, colpito dai raid iraniani nella notte tra venerdì e sabato - Reuters

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Spesso, dietro gli atti di forza si cela una sommatoria di debolezze dei protagonisti coinvolti. L’attuale scenario geopolitico lo dimostra e il conflitto tra Israele e Iran ne è esempio tragico e plastico. Le leadership al potere nei due Paesi-rivali sono entrambi fragili seppure per ragioni differenti. Il governo di Benjamin Netanyahu, contestato da due terzi della popolazione contraria al conflitto, è sopravvissuto per un soffio martedì allo scontro sulla leva obbligatoria degli studenti ultraortodossi. Con l’economia allo stremo a causa delle sanzioni internazionali, il regime degli ayatollah fatica a contenere la protesta, il cui fuoco cova sotto le ceneri lasciate dalla repressione. Dal massacro di Hamas del 7 ottobre, inoltre, Teheran ha perso la galassia di bracci armati – Hamas, Hezbollah, Houthi –, decapitati – almeno dal punto di vista militare – dall’offensiva d Tel Aviv. C’è, però, un terzo anello debole in questa catena bellica: Donald Trump. I continui cambi di rotta in politica internazionale, rendono gli Stati Uniti un partner poco affidabile per le altre nazioni. Alcuni alleati, come Netanyahu, approfittano del vuoto tra una sterzata e l’altra per agire. Se è improbabile che Tel Aviv non abbia informato Washington dell’ennesimo fronte – gli stessi attori coinvolti lo hanno ammessa –, gli Usa appaiono comunque incapaci di contenere «l’amico Benjamin». Il quale appare sempre più intemperante, a Gaza come in Iran dove ha colpito i siti per la produzione di gas e petrolio. La mossa è arrivata dopo che Teheran, in risposta a una raffica di bombardamenti israeliani, nella notte tra venerdì e sabato, aveva scagliato duecento missili balistici, in buona parte intercettati. Alcuni, però, avevano raggiunto il centro del Paese e ucciso tre persone. Duecento i feriti, tra cui tre diplomatici stranieri. Netanyahu ha alzato ulteriormente la tensione continuando a martellare l’Iran: in 40 ore, sono almeno 150 i punti colpiti, aprendo a Israele un «corridoio aereo» ad ovest della capitale. Ai 78 morti di venerdì – di cui sessanta, quasi la metà bambini, nel crollo di un palazzo nella capitale –, se n’è aggiunta un’altra trentina tra cui due pazienti a bordo di un’ambulanza. Uccisi altri due comandanti militari, tre guardie rivoluzionarie e Ali Shamkani, consigliere di Ali Khamenei. Il primo obiettivo è stato il programma nucleare – le strutture di Isfahan e Natanz –, «colpite al cuore», afferma Tel Aviv. Secondo l’Agenzia internazionale per l’energia atomica (Aiea), però, solo nel primo sito sono stati danneggiati quattro edifici critici mentre del secondo è stata distrutta la sezione in superficie, non quella sotterranea.

Attacchi massicci. Ma niente, comunque, a paragone di quella che Netanyahu ha definito ieri pomeriggio la «nuova escalation»: «Ogni sito e obiettivo del regime sarà distrutto». Poco dopo, un drone ha centrato l'impianto di estrazione di gas South Pars: il secondo per importanza della nazione, nella provincia meridionale di Bushehr dove le attività sono state fermate «temporaneamente». Appena qualche ora più tardi è toccato a Bandar Abbas, il maggiore scalo commerciale marittimo della nazione e centro dell’export petrolifero. Dopo gli impianti per l’arricchimento dell’uranio, Tel Aviv ha oltrepassato un’altra delle linee rosse imposte dall’Amministrazione Biden: i terminali degli idrocarburi del terzo produttore mondiale di gas e settimo di greggio. Passo che rischia di provocare una reazione uguale e contraria nel rivale con la minaccia, ventilata dal parlamentare Esmail Kosari, di chiudere lo stretto di Hormuz oltre a una ritorsione sulle basi americane, britanniche e francesi nella regione. Il braccio di Golfo tra Iran, Oman e Emirati, è lo snodo cruciale per il trasporto globale del petrolio. Il suo sbarramento può causare uno choc energetico a livello mondiale – il prezzo è già cresciuto del 10 per cento – con ripercussioni gravi per consumatori e, soprattutto, produttori. L’Arabia Saudita finora non ha preso posizione. Il principale riferimento degli Stati Uniti nella regione nonché epicentro dell’estrazione di greggio è in difficoltà. La normalizzazione con Israele è tuttora bloccata dal veto allo Stato palestinese da parte di Benjamin Netanyahu, la cui ostinazione nel perseguire la «vittoria totale» rischia di incendiare l’intera regione. E le fiamme potrebbero bruciare la stessa Riad. Da qui i passi recenti compiuti in direzione di Teheran e le critiche ai precedenti raid di aprile e ottobre 2024. Ieri, il presidente turco Racep Tayyip Erdogan, dopo un colloquio con il principe ereditario saudita Mohammed bin Salman, ha accusato Israele di rappresentare «il più pericoloso fattore di destabilizzazione per il Medio Oriente». Non si sa se e in quali termini, Salman concordi. Il suo silenzio, però, comincia a pesare. Sullo spalle dello stesso Trump. Nella lunga telefonata di ieri con Vladimir Putin – il quale ufficialmente lo ha chiamato per gli auguri di compleanno –, il tycoon ha cambiato drasticamente tono rispetto a venerdì quando, oltre a gridare ai quattro venti di essere stato informato del piano israeliano in anticipo, aveva parlato di «raid ottimi per il mercato». Con lo zar – principale fornitore della tecnologia nucleare – , il presidente Usa, invece, ha preso le distanze dai raid - «la guerra deve finire» - e ha messo l’accento sulla sua disponibilità a riprendere i colloqui sull’arricchimento. Teheran ha annullato la riunione di oggi in Oman dopo la «disonestà» – così ha detto il presidente Massud Pezeshkian – dimostrata da Washington che ha aiutato la difesa israeliana. Un’interruzione non definitiva, si è augurato Trump: il suo inviato Steven Witkoff «è pronto a ripartire». Preso di contropiede, Netanyahu si è affrettato a inviare un proprio video-messaggio di compleanno a Trump, in cui l’ha ringraziato «per il sostegno ai nostri attacchi». Che vanno avanti come la reazione iraniana. Nei cieli mediorientali è stata un’altra notte di fuoco.

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