mercoledì 16 settembre 2020
Siglato l'accordo per la normalizzazione dei rapporti tra lo Stato ebraico e i due Paesi mediorientali, che si aggiungono a Egitto e Giordania nella lista degli amici. La rabbia dei palestinesi
Sul balcone della Casa Bianca, Trump, Netanyahu, bin Zayed al-Nahyan e bin Ahmed bin Mohammed al-Khalifa

Sul balcone della Casa Bianca, Trump, Netanyahu, bin Zayed al-Nahyan e bin Ahmed bin Mohammed al-Khalifa - Ansa

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Un’intesa viene siglata a Washington fra tre Paesi mediorientali, e come conseguenza quattro leader possono presentare in patria un importante risultato di politica estera, militare ed economica. La firma degli «accordi di Abramo» per la normalizzazione dei rapporti tra Israele da un lato ed Emirati e Bahrein dall’altro, ospitata ieri alla Casa Bianca da Donald Trump, ha permesso al presidente statunitense di aggiungere la mediazione di un’intesa importante al suo carnet elettorale, a un mese e mezzo dal voto per un possibile secondo mandato. Ha consentito al premier israeliano Benjamin Netanyahu di mettere a segno un successo che solo altri due leader israeliani erano stati in grado di raggiungere (Menachem Begin firmando un trattato di pace con l’Egitto nel 1979 e Yitzhak Rabin con la Giordania nel 1994) e a distrarre l’opinione pubblica israeliana da un’economia che affronta il 18% di disoccupazione, dal secondo lockdown per il coronavirus e dal suo processo per accuse di corruzione. Questo mentre i ministri degli Esteri delle due nazioni del Golfo, Abdullah bin Zayed al-Nahyan e Khalid bin Ahmed bin Mohammed al-Khalifa, ottenevano una corsia preferenziale per l’acquisto di jet da combattimento dagli Usa e di alta tecnologia militare israeliana.

Al contrario di quanto sostenuto dai firmatari, però, gli accordi non sembrano aver fatto fare passi avanti al dialogo di pace fra israeliani e palestinesi. L’Autorità nazionale palestinese (Anp) e Hamas hanno già condannato la normalizzazione dei rapporti fra i tre “vicini” regionali, e ieri la cerimonia a Washingotn è stata accompagnata dal lancio di due razzi da Gaza verso le città israeliane di Ashkelon e Ashodod. Uno è stato intercettato, e il bilancio è di due feriti leggeri colpiti da schegge di vetro. Ma il presidente Usa non ha esitato ha definire l’evento di ieri «una giornata incredibile per il mondo intero», lodando i tre Paesi coinvolti per aver «scelto un futuro in cui arabi e israeliani, musulmani, ebrei e cristiani possano vivere insieme, pregare insieme e sognare insieme, vicini, in armonia». Un messaggio enfatizzato da Netanyahu che ha detto di voler «portare speranza ai figli di Abramo», e di sperare che altri si uniranno: «Una nuova alba di pace, superiamo le divisioni e ascoltiamo il battito della storia». La presenza alla Casa Bianca anche dell’ambasciatore dell’Oman negli Usa, Hunaina al-Mughairy, lasciava proprio presagire che il Paese arabo potrebbe seguire Emirati e Bahrein nel normalizzare i suoi rapporti con lo Stato ebraico.

In realtà i tre Paesi firmatari non erano in guerra e Israele aveva da anni rapporti non ufficiali con le due nazioni sunnite, soprattutto in chiave di contenimento dell’Iran. Ma si deve al fiuto di Trump e del genero-consigliere Jared Kushner (oltre che del segretario di Stato Mike Pompeo) l’intervento finale che ha spinto i tre Paesi a riallacciare relazioni diplomatiche proprio ora, fatto che ha restituito all’Amministrazione repubblicana un ruolo di facilitatore di dialogo nella regione pur non essendo riuscita a includere i palestinesi nella sua visione di un Medio Oriente pacifico.

In effetti, la firma di ieri allontana la possibilità di una ripresa dei colloqui di pace con i palestinesi, che vedono tradita l’iniziativa araba per la pace del 2002 che chiedeva la fine del conflitto israelo- palestinese prima che gli stati arabi normalizzassero le relazioni con Israele. Ma per Trump ieri restava solo il trionfo di una «storica stretta di mano». Il presidente ha invitato ben mille persone (senza mascherina) a testimoniare sul «south lawn» della Casa Bianca, trasgredendo gli ordini delle autorità sanitarie della capitale Usa che vietano le riunioni con la partecipazione di più di cinquanta persone.

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