mercoledì 19 settembre 2012
​Le isole Diaoyu (chiamate Senkaku da Tokyo) restano al centro dell'attenzione e fanno crescere l'allerta nell'oceano Pacifico. Dieci pattugliatori inviati da Pechino hanno raggiunto le isole Diayou dove sono stati intercettati da sei navi giapponesi.
L'ANALISI. Dietro lo scontro interessi e «opportunismi»
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Le navi cinesi continueranno a pattugliare le acque intorno alle isole Diaoyu, contese con il Giappone (che le chiama Senkaku). Lo riferisce un comunicato dell'amministrazione statale per gli oceani (Soa). Secondo il comunicato sono stati dieci (anche se alcune fonti parlano di 14) i pattugliatori cinesi che hanno raggiunto le acque delle Diayou dove sono state intercettate da sei navi giapponesi. Sul posto c'erano anche tre velivoli giapponesi (un aereo, un elicottero e un velivolo anti sommergibile). Secondo il comunicato, i pattugliatori cinesi hanno ribadito la posizione cinese sulla questione delle isole alla controparte giapponese, durante l'incontro. Non si hanno invece notizie della flottiglia di 1000 pescherecci che era stata data in partenza nei giorni scorsi verso le isole. BRUCIANO LE BANDIERE CINESI. Ci si è messo pure Baidu a gettare benzina sul fuoco. Ieri sul più grande motore cinese di ricerca sul Web compariva un’animazione che ritraeva le isole Diaoyu (Senkaku per il Giappone) sotto l’“ombrello” di una bandiera cinese. E Tencent Holdings Ltd, la più grande compagnia Internet del Dragone, ha marcato la sua pagina con un vistoso vessillo rosso. Il Web cinese non ha voluto perdere l’occasione di mettere la “firma” sulla crisi che ha fatto precipitare le relazioni diplomatiche tra Cina e Giappone al punto più basso dal 2005. Una situazione esplosiva. Ieri in almeno cento città cinesi ci sono state manifestazioni, anche violente, contro i simboli della presenza giapponese. Non è mancata la risposta di Tokyo: nel mirino è finito il consolato cinese generale di Fukuoka nel Giappone sudoccidentale. E alla diatriba sulle isole contese – il Giappone intende acquistarla, Pechino considera la cosa come un attentato alla sovranità nazionale – si è aggiunta la ferita sempre aperta del “giorno dell’umiliazione”. La Cina ricorda, con rabbia, l’«incidente di Mukden» che il 18 settembre 1931 offrì al Giappone imperialista e militarista il pretesto per invadere la Manciuria. Non sono mancati i proclami bellicosi. Il ministro della Difesa cinese, Liang Guanglie, durante la conferenza stampa dopo il colloquio con il ministro della Difesa americano, Leon Panetta, ha fatto sapere che il Dragone si «riserva il diritto di intraprendere ulteriori azioni, anche se speriamo di risolvere la questione con negoziati pacifici».La protesta cinese se si è diffusa veloce come un contagio. Da Pechino a Canton, da Shenzhen a Wuhan, passando per Shanghai e Xi’an, tutti uniti con un solo obiettivo: rivendicare la sovranità delle isole Diaoyu. Migliaia di cittadini hanno manifestato di fronte all’ambasciata giapponese nella capitale cinese. La lunga via che conduce alla sede diplomatica di Tokyo – come riportato da AgiChina24 – è stata chiusa al traffico e interamente transennata dalle forze dell’ordine, che hanno sorvegliato il corteo lungo tutto il percorso. Bottiglie di acqua, lattine, e frutta sono state scagliate contro l’edificio presidiato dai militari in tenuta anti-sommossa. I manifestanti avevano con sé bandiere cinesi, striscioni, cartelli raffiguranti il volto di Mao Zedong e vessilli anti-giapponesi, e hanno scandito per tutto il percorso slogan contro i “cani giapponesi”. Molte aziende giapponesi, a cominciare dalla Honda, hanno chiuso gli stabilimenti sul territorio cinese per «salvaguardare» l’incolumità degli operai.A complicare ulteriormente i rapporti diplomatici tra i due Paesi, poi, la notizia dell’atterraggio di due cittadini giapponesi sulle isole contese, alle ore 9.30 di ieri. I due, secondo quanto successivamente riportato dalla Guardia Costiera giapponese, hanno poi lasciato l’isola. La “guerra” non dichiarata sulle isole contese rischia di compromettere le relazioni economiche tra i due giganti asiatici. Non è cosa da poco, se si tiene presente che Cina e Giappone sono rispettivamente la seconda e la terza economia al mondo. E che ormia sono sono due “sistemi” sempre più interdipendenti. Come scrive l’agenzia <+corsivo>Bloomberg<+tondo>, l’interscambio tra i due Paesi è triplicato negli ultimi dieci anni, schizzando a quota 340 miliardi di dollari. Nel 2011 la Cina è stato il più grande mercato per le esportazioni giapponesi, mentre il Giappone è stato il quarto più grande per i prodotti cinesi. Il valore delle merci cinesi “volate” verso il Giappone ammontava nel 2011 a quota 148,3 miliardi di dollari. Un “gruzzolo” che il braccio di ferro sulle isole contese rischia ora di dilapidare.
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