giovedì 9 gennaio 2020
Teheran, schiacciato dalle sanzioni economiche, ha bisogno di mercati e protezione. E Pechino vuole proiettarsi nella regione per difendere i suoi interessi
I funerali del generale Soleimani a Teheran

I funerali del generale Soleimani a Teheran - Ansa

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Il messaggio è stato recapitato nel bel mezzo dell’escalation: le relazioni tra Pechino e Teheran non si toccano. Anzi, «la determinazione della Cina a sviluppare un partenariato strategico globale con l’Iran non cambierà», ha fatto sapere l’inviato cinese in Iran, Chang Hua. Proprio la crisi – con l’economia iraniana sempre più ostaggio delle sanzioni americane, l’Europa partner evanescente e sponda sempre più debole per Teheran – potrebbe stringere in un abbraccio di ferro i due Paesi. Conviene ad entrambi. A Teheran per rianimare la sua economia e continuare ad armarsi, eludendo sanzioni e embargo. A Pechino per saziare la sua fame di energia.
Il modello è già stato ampiamente collaudato. La Cina lo ha sperimentato in Venezuela, per esempio. O in Africa. Il vuoto lasciato dal disimpegno Usa è un’occasione formidabile per il Dragone per tessere alleanze, per conquistare peso geopolitico. Sullo sfondo c’è la “partita” per la leadership mondiale. E al tavolo siedono solo due giocatori: Usa e Cina. I due giganti hanno assunto posizioni speculari, rovesciate una rispetto all’altra. Non è un caso che mentre l’America di Trump sembri perseguire la sua strategia del dis-ordine mondiale, la Cina provi a presentarsi come un attore di stabilizzazione.
Pechino, storicamente, si è tenuta sempre a distanza di sicurezza dal Medio Oriente. Considerandolo un ginepraio. Una matassa di tensioni inestricabili e di incognite irrisolvibili. Ma le cose sono cambiate. E da tempo. Il Medio Oriente ha guadagnato sempre più spazio nella strategia cinese. Il motivo? Presto detto: la Cina è il maggiore importatore di petrolio al mondo e circa il 50% del greggio che acquista arriva dai Paesi del Medio Oriente. Non solo. Pechino è oggi il principale partner commerciale dell’Iran, anche se le importazioni di oro nero dal Paese degli ayatollah sono fortemente diminuite a seguito proprio delle sanzioni statunitensi. A novembre 2019, secondo gli ultimi dati disponibili citati dal South China Morning Post, la Cina ha importato 547.758 tonnellate di petrolio iraniano, in calo rispetto ai 3,07 milioni di tonnellate di aprile. Il commercio tra i due Paesi, nel 2018, ha raggiunto un valore di 35,13 miliardi di dollari, con il petrolio pari a circa la metà (15 miliardi).
Inevitabile che l’alleanza tra Cina e Iran si saldasse anche sul piano militare. Secondo l’Istituto Internazionale di Ricerca di Stoccolma per la Pace, la Cina ha esportato armi per un valore di 269 milioni di dollari dal 2008 al 2018. Alla fine di dicembre, Cina, Iran e Russia – vale a dire i principali “nemici” degli Usa – hanno tenuto 4 giorni di esercitazioni militari tra l’Oceano Indiano e il Golfo dell’Oman. La Cina ha un’altra urgenza: blindare le rotte marittime. La base a Gibuti serve a questo. Il Paese è il principale esportatore di merci “containerizzate”: spedisce merci tre volte più degli Usa. Con la pirateria che infesta il 90 percento delle rotte marittime del mondo, il conto che la Cina può pagare rischia di essere astronomico. L’abbraccio a Teheran si spiega anche così.


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