venerdì 3 giugno 2011
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«Io sono certa del lavorìo del seme che non porta frutto se non muore. Anche se so che i tempi dell’uomo sono diversi da quelli di Dio. Quello che mi auguro è che il cambiamento nasca dall’interno della società turca, che si facciano avanti persone che riconoscano che il patrimonio cristiano non è un’ingerenza esterna, ma una delle radici dell’identità nazionale turca». Nell’anniversario dell’omicidio di monsignor Luigi Padovese, vicario apostolico per l’Anatolia, Maddalena Santoro è fiduciosa sull’effetto che la morte di suo fratello, don Andrea, e del responsabile della Conferenza episcopale turca, porteranno alla società di quel Paese.Che ricordo ha di monsignor Padovese, lei che l’ha conosciuto bene?Una persona eccezionale per accoglienza, serenità, delicatezza. Capace di comprendere il dolore, quello che ci aveva colpito con la morte di mio fratello. Ma anche aperto a raccogliere l’eredità di idee di don Andrea. Penso al progetto di un centro di dialogo interculturale e interreligioso che Andrea voleva realizzare a Trabzon. Monsignor Padovese si è unito a noi per realizzarlo a Iskenderun nella sede dell’episcopato. Oggi c’è la targa sul portone, una sala riunioni per corsi e convegni e una grande biblioteca dove ai testi patristici del vescovo si sono aggiunti i volumi suggeriti da don Andrea sul dialogo tra ebraismo, cristianesimo e islam, nonostante le difficoltà in Turchia a fare traduzioni.Un’eredità pericolosa, quella di don Santoro. Padovese non ha esitato a raccoglierla.La sua intelligenza e la sua cultura gli facevano vedere con chiarezza i rischi. Il 5 febbraio 2010 venne a Trabzon e tenne l’omelìa nell’anniversario della morte di mio fratello. Con don Andrea, disse, si è voluto uccidere ciò che rappresentava e poi viveva nella carità e nel dialogo.L’ha stupita la notizia della morte del vescovo?Sì, foste proprio voi di Avvenire a darmela. Non me l’aspettavo. Pensai: a questo siamo arrivati? Un’escalation terribile. Di cui ha fatto le spese proprio lui che nell’anno paolino si era dato molto da fare per il dialogo. Aveva chiesto di celebrare a Tarso. Richieste che a noi sembrano minime...Ma che davano fastidio.Certo, lui chiedeva pubblicamente e anche un rifiuto diventava un fatto pubblico. In questi Paesi, al di là dell’ufficialità, non c’è una sostanziale libertà religiosa. Non sappiamo come è stato organizzato l’omicidio. Certo non è stato un pazzo isolato. Non abbiamo mai voluto accusare i turchi, c’è però una frangia radicale e nazionalista che pianifica gesti eclatanti.Questo sangue darà frutti?Le persone che incontro nei pellegrinaggi ce lo dicono, ma la fede è vissuta nell’ombra. Preoccupante per uno Stato moderno. Conosco persone che per la loro fede cristiana non si sentono certo meno turchi. Ma non possono vivere liberamente il loro credo: sono irrisi, provocati, se non minacciati. I battesimi sono celebrati con grandissima discrezione. In realtà, per molti più che una vera conversione c’è la riscoperta delle antiche radici cristiane. In Turchia quando nasci, sui documenti viene scritto automaticamente "musulmano". La paura della Turchia è la ricostituzione di gruppi etnico-politici. Rischio che proprio non esiste con i cristiani.La parrocchia di Trabzon è stata chiusa?Dopo l’omicidio un sacerdote polacco fidei donum ha chiesto di essere trasferito. Era molto giovane, solitudine e difficoltà a rapportarsi alle autorità locali gli hanno pesato molto. Ora c’è una coppia di missionari laici romeni. C’è un sacerdote fidei donum di Milano, don Giuliano che ha domandato di spostarsi da Samsun, il vescovo ha avviato la richiesta alle autorità... E aspettiamo tutti il nuovo vescovo.
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