.jpg?width=1024)
Il valico di Attari-Wagah tra India e Pakistan, vicino Amritsar - Reuters
Spari nella notte tra militari indiani e pachistani lungo la Linea di controllo (il confine mai riconosciuto che divide il Kashmir conteso tra India e Pakistan) ma nessun civile sembra sia stato coinvolto. Poche ore prima il portavoce Onu, Stephani Dujarric, aveva chiesto alle parti di esercitare "la massima moderazione” per non inasprire la situazione.”
Una “caccia fino ai confini del mondo” è quanto ha promesso ieri il premier indiano Narendra Modi ai responsabili dell’uccisione, martedì, di 26 turisti e il ferimento di altri 17 a Pahalgam, nello Stato nord-occidentale indiano di Jammu e Kashmir. Un evento terroristico che ha colpito cittadini indiani e uno nepalese di cui l’India ha immediatamente ritenuto responsabile il confinante Pakistan con il quale resta aperto dall’indipendenza il contenzioso sull’appartenenza di quest’area in maggioranza islamica.
La separazione di fatto in due aree, quella indiana definitivamente annessa seppure suddivisa nei due stati di Jammu & Kashmir e Ladakh (quest’ultima sottoposta in parte alle pretese cinesi), e quella pachistana dell’Azad Kashmir (Kashmir libero) è stata sostenuta da parte pachistana dall’accoglienza e gestione di gruppi indipendentisti, jihadisti e terroristi spesso attivi oltreconfine culminata nell’attacco a Mumbai del novembre 2008 da parte del gruppo Lashkar-e-Taiba. Da parte indiana il frequente ricorso alla legge marziale e una politica di repressione delle istanze autonomiste ha continuato a mantenere accesa l’ostilità di molti dei musulmani verso il controllo indiano e i timori della minoranza indù di subire ritorsioni.
Sempre ieri la polizia del Jammu e Kashmir ha diffuso i nomi e gli identikit dei tre presunti responsabili, tutti giovani musulmani locali, ma che non si tratti di una semplice azione di polizia e che si corra il rischio di attivare una catena di azioni con risultati imprevedibili sono state le decisioni prese dalla parte indiana subito dopo l’azione terroristica, la più letale nella regione dal 2000.
La prima, la chiusura dell’unico valico terrestre aperto tra i due Paesi, quello di Attari-Wagah, nel Punjab e l’uscita obbligatoria dall’India entro il primo maggio di tutti i cittadini pachistani non residenti, inclusi i militari addetti alla sicurezza delle sedi diplomatiche e parte del personale civile. La seconda, la sospensione del Trattato sulle Acque dell’Indo in vigore dal 1960 che regola le competenze delle due parti nella gestione del bacino del grande fiume che attraversa nel corso superiore il territorio indiano e in Pakistan accoglie i cinque affluenti principali (Satlej, Beas, Ravi, Chenab e Jhelum) pure provenienti dall’India fornendo una risorsa vitale lungo il suo cammino verso il Mare Arabico. New Delhi ha di fatto i “rubinetti” della maggior parte delle risorse idriche necessarie per la vita della maggioranza dei 240 milioni di pachistani. La sospensione applicata per la prima volta rappresenta uno strumento di pressione (di ricatto, se vista dall’altra parte) formidabile ma che lascia il Pakistan con possibilità di ritorsione limitate. Dalla riunione di ieri del Comitato per la sicurezza nazionale presieduto a Islamabad dal premier Shehbaz Sharif sono uscite misure di portata ridotta, dallo stop a accordi commerciali e bilaterali di varia natura alla chiusura dello spazio aereo pachistano alle compagnie indiane, ma le voci che chiedono di prevedere una risposta militare, seppur presenti, restano finora in sordina.