I doni di Francesco e Leone, nell'anno inatteso della Chiesa
Ripercorriamo i momenti più importanti di un tempo che ha portato insieme il Giubileo e un Conclave, oltre a tanti segni della presenza dello Spirito nella vita ecclesiale di tutti i giorni

L’inatteso di Dio dentro l’atteso della storia. Potrebbe esserci scritto questo sul dorso dell’album di fotografie che racconta la vita della Chiesa nel 2025. Raramente come stavolta, durante il Giubileo della Speranza, chi è arrivato a Roma ha percepito di essere parte di un pellegrinaggio più grande. Quello faticoso, a volte imprevedibile, ma mai solitario, della comunità cristiana nella storia.
È seduto sulla sedia a rotelle papa Francesco nella prima foto di questo album, in preghiera davanti alla Porta Santa della Basilica di San Pietro, verso la quale si è appena sporto, già affaticato. Ne sfiora i battenti, e qualcun altro lo aiuta ad aprirla. Così, nel silenzio carico di attesa della notte di Natale del 2024, è iniziato il lungo Anno Santo ordinario. Da quella notte in poi, milioni di pellegrini, da ogni parte del mondo, hanno camminato lungo via della Conciliazione per vivere l’esperienza giubilare. Moltissimi provenienti da terre martoriate dai conflitti armati, come l’Ucraina, la Palestina, la Nigeria, dalle persecuzioni, come il Pakistan e il Nicaragua, dalla guerra civile come il Myanmar o dalla violenza endemica come Haiti. Nella Chiesa di Francesco non poteva esistere un “dentro” e un “fuori”. Nella seconda foto lui non c’è, ma ci sono tante mani contro un vetro impolverato. Il viso di Bergoglio è gonfio, ma il giorno di Santo Stefano il Papa ha voluto aprire personalmente la Porta Santa del carcere di Rebibbia, a Roma. Quando l’auto bianca percorre le vie esterne della casa circondariale, dopo la Messa nella cappella, i detenuti lo aspettano dietro alle vetrate delle celle. E battono forte sulle grate. E lo chiamano per ringraziarlo. Perché sentono che anche per loro, in qualche modo, è iniziato un Anno di grazia. Meno di due mesi dopo, il 14 febbraio, durante il Giubileo degli artisti papa Francesco è ricoverato al Policlinico Gemelli per una bronchite. Fa molto freddo, ma in tanti hanno preso l’abitudine di proseguire il pellegrinaggio fino alla piazzola d’ingresso dell’ospedale, per recitare una preghiera sotto le finestre. Anche se nessuno sa riconoscere quella della stanza dove il Vescovo di Roma iniziava già a percorrere la sua “via dolorosa”.
Tra le istantanee dei mesi di primavera, c’è anche quella dell’applauso, pieno di passione, degli oltre mille partecipanti alla Seconda Assemblea sinodale delle Chiese in Italia, che si è tenuta dal 31 marzo al 3 aprile. Non per un lavoro finito, ma per la decisione dei vescovi di ritirare il testo delle Proposizioni per recepire meglio le richieste dell’Assemblea. Segno di un impegno ad ascoltare ancora più profondamente i tanti laici, sacerdoti e religiose coinvolti nel processo sinodale. Da qui lo slittamento del voto sul documento finale all’ottobre scorso, durante la Terza Assemblea sinodale che ha concluso la fase nazionale. A partire da quel testo, l’Assemblea generale della Cei svoltasi a novembre ad Assisi si è confrontata su priorità, temi e istanze dalle quali delineare le prospettive pastorali per i prossimi anni. Tra gli impegni condivisi: la pace, la missionarietà e la lotta agli abusi.
L’ultima parola al mondo di Francesco è stata quel «Buona Pasqua» pronunciato senza fiato dalla Loggia delle Benedizioni il 20 aprile. Poi, la mattina del Lunedì dell’Angelo, come un terremoto, l’annuncio della morte per ictus cerebrale a Casa Santa Marta. Il 26 aprile, al funerale presieduto dal cardinale decano Giovanni Battista Re, attorno alla bara di legno c’erano i potenti della Terra, mentre in piazza si abbracciavano commossi 150mila ragazzi, a Roma per il Giubileo degli adolescenti. Dopo il funerale i Novendiali e l’inizio del Conclave, il primo della storia ad essere raccontato anche tramite i canali social. Poi gli occhi di milioni di persone fissi su un comignolo per ore e ore, in piazza come nelle case, l’8 maggio. La Chiesa universale in attesa, nella bellezza di un’elezione d’importanza globale di cui nessuno può sapere niente, neppure nell’era dell’intelligenza artificiale, finché una fumata bianca non ne rivelerà l’esito. «È Prevost! L’americano!», gridano i giornalisti dopo l’annuncio del nome da parte del cardinale protodiacono Dominique Mamberti. A sventolare in piazza, però, sono anche le bandiere del Perù. La commozione blocca in gola le prime parole di Leone XIV, che dalla Loggia alza e abbassa le spalle, naturalmente inquieto, da uomo divenuto Papa in meno di due giorni. «La pace sia con tutti voi!», dice smorzando la gravità del nome scelto, prima di salutare la sua vecchia diocesi di Chiclayo. Un pastore, in un tempo in cui la Chiesa cerca la strada per ricucire le divisioni interne, e per fare pressione sui leader globali affinché si trovi una soluzione ai conflitti. Incontrando i vescovi italiani in udienza, il 17 giugno, chiede di promuovere «percorsi di educazione alla nonviolenza, iniziative di mediazione nei conflitti locali, progetti di accoglienza che trasformino la paura dell’altro in opportunità di incontro». Ogni comunità, è il suo auspicio, diventi «casa della pace».
Sono luci che parlano di Pasqua quelle che si accendono nella notte del 2 agosto, nella spianata di Tor Vergata. Durante la veglia del Giubileo dei giovani, il Papa è in ginocchio a testa china, davanti all’Eucarestia. Dietro di lui un milione e mezzo di giovani in preghiera, ad occhi chiusi, in un silenzio che sconvolge. Sulla strada segnata da Francesco, Leone XIV il 28 novembre è a Iznik, per celebrare la memoria del primo Concilio ecumenico di Nicea, a 1.700 anni dallo storico evento. Papa Prevost è in piedi, accanto al patriarca Bartolomeo e ai rappresentanti delle Chiese cristiane, sul ballatoio che sporge sulle rovine dell’antica basilica di San Neofito, e lancia l’appello a superare «lo scandalo delle divisioni», alimentando «l’unità».
Il prossimo 6 gennaio, dopo una sosta in ginocchio sulla soglia, il primo Papa nato negli Stati Uniti chiuderà la Porta Santa di San Pietro, mettendo anche il suo sigillo su un Anno Santo che non sarà dimenticato. Una foto che ancora non esiste, ma per la quale si può già lasciare il giusto spazio sull’ultima pagina, che sta già inaugurando un nuovo ricchissimo anno per la vita della Chiesa. Perché – come papa Francesco volle intitolare la bolla d’indizione del Giubileo 2025 – la speranza non delude.
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