sabato 6 gennaio 2024
Arrivano dalle diocesi greco-cattoliche di Kiev, Kharkiv, Kherson, Odessa, Donetsk i 50 ragazzi accolti a Bologna e Vicenza grazie all'Azione Cattolica. Il racconto della guerra, le paure, le speranze
Il gruppo di pellegrini ucraini durante il loro viaggio in Italia

Il gruppo di pellegrini ucraini durante il loro viaggio in Italia - .

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Il suono delle sirene antiaeree in Ucraina sveglia le famiglie. Famiglie italiane che in questi giorni aprono le loro case a cinquanta ragazzi del Paese in guerra da quasi due anni. «Sono gli allarmi che i cellulari dei nostri giovani replicano ogni volta che scattano nella nostra nazione», racconta padre Roman Demush. È il sacerdote responsabile del Dipartimento di pastorale giovanile della Chiesa greco-cattolica ucraina che sta accompagnando i ragazzi nel “pellegrinaggio di speranza e di testimonianza” fra l’Europa. Adolescenti e giovani che arrivano dalle diocesi greco-cattoliche di Kiev, Kharkiv, Kherson, Odessa, Donetsk. Il gruppo avrebbe dovuto partecipare all’Incontro europeo dei giovani di Taizé che quest’anno si è tenuto a Lubiana, in Slovenia, ma le oltre ventisei ore di stop alla frontiera ucraina hanno fatto saltare l’appuntamento. Quindi la tappa in Austria; e adesso nella Penisola, ospiti dell’Azione cattolica, in particolare dell’Ac di Vicenza e Bologna che li accolgono nelle famiglie e in strutture messe a disposizione dalle due diocesi. «È un’esperienza preziosa e persino una missione. Per raccontare una guerra nel cuore del continente», spiega Kateryna Surmachevska che fa parte della delegazione. Diciannove anni, di Odessa, ha i suoi fratelli maggiori al fronte. «Ogni volta ripenso a quando eravamo insieme felici e spensierati. Mai avrei immaginato che un simile destino li attendesse. Ora stanno adempiendo con dignità al loro dovere», aggiunge. Perché il gruppo mostra come l’invasione voluta Putin abbia stravolto un popolo. Ci sono ragazzi che hanno familiari uccisi; ragazzi che hanno vissuto sotto l’occupazione russa; ragazzi che hanno ancora i genitori nei territori conquistati da Mosca. «Ed è un gruppo per lo più al femminile. Infatti i maschi maggiorenni non possono lasciare il Paese: sono solo quattro, da 16 a 18 anni», afferma padre Roman.

L'incontro del gruppo con il cardinale Matteo Zuppi

L'incontro del gruppo con il cardinale Matteo Zuppi - .

Sono loro stessi a descrivere gli orrori del conflitto di fronte al cardinale Matteo Zuppi, presidente della Cei, nell’incontro di venerdì pomeriggio a Bologna. Da Danylo di Melitopol che ha visto il suo migliore amico morire per un razzo ad Akim della regione di Zaporizhzhia che si è trovato la casa colpita da un missile. «Noi dobbiamo e possiamo fare tanto per la pace – dice il porporato –. Anche papa Francesco continua a insistere e a cercare tutti i modi per far cessare al più presto le guerre». L’Ucraina ha una preoccupazione: quella di essere abbandonata. Padre Roman lo ripete facendosi interprete del sentimento dei ragazzi e dei loro parenti. «Non siamo qui per lamentarci. Ma vogliamo far sentire il grido della nostra gente, ribadire che resistiamo ed esistiamo. Non possiamo essere lasciati soli o dimenticati. Perché anche l’indifferenza uccide». Zuppi li abbraccia idealmente. «Questi giovani ci fanno costruire legami di solidarietà, condivisione e amicizia che sono già il primo passo per sconfiggere la violenza che isola, contrappone e fa scontrare persone e popoli – osserva il cardinale –. La luce del Natale illumina anche il buio della guerra. Non preoccupatevi: non vi lasciamo e non vi lasceremo soli». Poi annuncia che in estate riprenderà l’itinerario di accoglienza, già promossa dalla Cei nell’ultimo anno, «quando ci sarà la possibilità per tantissimi ragazzi e ragazze dell’Ucraina di venire a passare un periodo qui nelle nostre famiglie e nelle nostre parrocchie».

I giovani ucraini davanti alla Basilica di Sant'Antonio a Padova

I giovani ucraini davanti alla Basilica di Sant'Antonio a Padova - .

Il viaggio è anche l’occasione per «staccarsi qualche giorno dalla realtà dei bombardamenti. Perché, come sottolinea il nostro capo della Chiesa greco-cattolica, l’arcivescovo Sviatoslav Shevchuk, il peso della guerra è caduto in modo particolare sulle spalle dei giovani», ricorda padre Roman. Lo sa bene Anastasiia Shpitser, 16 anni, di Fastiv, cittadina a 80 chilometri da Kiev. «A Capodanno eravamo a Vienna. Quando ci sono stati i fuochi d’artificio, mi hanno fatto rabbrividire: pensavo alle esplosioni dei missili». I traumi di guerra. «Tutti li abbiamo – confida –. Tutti abbiamo perso qualcuno e qualcosa». C’è chi ha sperimentato esperienze ancora più pesanti. «Alcuni sono fuggiti di recente dalle zone occupate – prosegue Kateryna –. Nessuno dovrebbe essere sottoposto a tale tortura». A Venezia il gruppo incontra il patriarca Francesco Moraglia. «La pace significa garanzia di diritti – spiega Moraglia –. Siamo in costante contatto con i vescovi ucraini per dare il nostro sostegno alle comunità cristiane in difficoltà». Quindi l’invito a «pregare» affidando «l’Ucraina e il mondo intero alla Madre di Dio, di cui da poco abbiamo festeggiato la solennità il 1° gennaio, che è anche Giornata mondiale di preghiera per la pace». «La preghiera – riflette Anastasiia – è la vera arma che abbiamo, quella che ci unisce e ci infonde coraggio». Al patriarca viene consegnata una stella che raffigura la Cattedrale di San Michele a Kiev. Per dire che «le nostre chiese sono diventare anche un rifugio per tante persone sotto le bombe», evidenzia padre Roman.

I ragazzi insieme al patriarca di Venezia Francesco Moraglia

I ragazzi insieme al patriarca di Venezia Francesco Moraglia - .

In estate, durante la Gmg di Lisbona, il sacerdote aveva guidato il piccolo gruppo di ucraini che aveva incontrato il Papa nella capitale portoghese. «Francesco si era messo umilmente in ascolto dei giovani, aveva pianto con noi, aveva condiviso il nostro dolore. Come sta accadendo in questi giorni con i vescovi e le famiglie italiane». Parlano di «percorso di fraternità» i responsabili diocesani di Ac di Bologna e Vicenza che descrivono la visita come un’opportunità «di socialità tra giovani di Paesi diversi fatta di eventi culturali, di spiritualità, festa e conoscenza». Poi il richiamo: «Non bisogna mai rassegnarsi né smettere di pregare perché le armi tacciano». L’iniziativa rientra nell’ambito delle attività e dell’impegno per la pace che l’Azione cattolica porta avanti anche attraverso l’adesione al Mean, il Movimento europeo di azione nonviolenta, che a ottobre ha portato cento attivisti a Kiev e Leopoli per una veglia di preghiera e per la prima conferenza sui corpi civili di pace europei.

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