martedì 7 maggio 2024
L'ex cappellano del carcere minorile di Casal del Marmo, dove il Papa si recò per la lavanda dei piedi nel 2013, si è spento a San Giovanni Rotondo. Una vita per gli ultimi, sulla scia di padre Pio
Padre Gaetano Greco

Padre Gaetano Greco - Foto ASD Borgo Amigò

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Di lui colpiva il sorriso. Disarmato e disarmante. Quel sorriso con il quale aveva conquistato il cuore di tanti ragazzi. Difficili, considerati delinquenti, ritenuti cattivi da quasi tutti. Padre Gaetano Greco, terziario cappuccino dell'Addolorata, già cappellano del carcere minorile di Casal del Marmo A Roma, tornato alla casa del padre lo scorso 3 maggio a San Giovanni Rotondo, dove era nato nel 1947, si identificava in quel "quasi". Perché per ognuno di loro cercava di sempre di guardare il bicchiere mezzo (o forse molto meno che mezzo) pieno. Una volta rispondendo alla domanda se avesse mai incontrato un ragazzo veramente cattivo, disse: «Guardi, il germe della cattiveria l’ho visto nascere in quei ragazzi che si sono sentiti abbandonati dalla madre. Questo abbandono genera una profonda paura, e poi aggressività. Poi, si ritrovano dentro a drammi da cui non riescono più a uscire». Per questo sosteneva che tutti in fondo, cercavano una cosa sola: «Qualcuno che li ascolti, che non li rifiuti, non abbia paura di loro. Perché spesso, oggi, gli adulti hanno paura dei giovani, non sanno essere paterni. Una conseguenza delle famiglie in frantumi. I figli soffrono terribilmente nel sentirsi abbandonati: l’abbandono è la piaga forse più difficile da recuperare. Eppure vedo famiglie cieche, in cui i genitori, troppo impegnati nel lavoro, non si accorgono di nulla. So che è impopolare dirlo, ma sono venute a mancare le madri: lo sguardo, l’attenzione che sapevano avere le madri. E i padri, appaiono spesso svuotati di ogni autorità».

Ecco da dove nasceva dunque il suo essere sacerdote e religioso. Quasi un destino insito nella sua origine a San Giovanni Rotondo, il paese del foggiano dove visse e operò san Pio da Pietrelcina. Il quale, quando a 11 anni il piccolo Gaetano decise di entrare in seminario, gli diede la sua benedizione. Più tardi, da adulto, ai suoi ragazzi "difficili" che gli chiedevano perché si fosse fatto prete, era solito rispondere: «Se non avessi fatto fatto il prete, non ci saremmo mai incontrati».

E a partire da queste parole lo ricorda anche don Nicolò Ceccolini, che gli è succeduto nell'incarico di cappellano del carcere minorile romano e che come lui, lo scorso anno ha potuto accogliere papa Francesco per la messa in Coena Domini del Giovedì Santo. La prima volta fu nel 2013 e segnò un'autentica rivoluzione. Il pontefice che anziché celebrare a San Pietro va in un carcere per lavare i piedi a 12 giovani detenuti. Padre Geatano era talmente emozionato da non riuscire quasi a spiccicare parola. Ricordò l'esempio del cardinale Agostino Casaroli, che da segretario di Stato vaticano in quel carcere era di casa per assistere spiritualmente i ragazzi e ringraziò il Papa. Lo scorso 4 maggio, ai funerali celebrati a San Giovanni Rotondo con diversi sacerdoti, tra i quali padre Frank Gerardo Pérez Alvarado, generale dei Terziari Cappuccini, e lo stesso don Nicolò, monsignor Domenico Umberto D’Ambrosio, vescovo emerito di Lecce e in precedenza di Manfredonia-Vieste-San Giovanni Rotondo, ha ricordato: «Per lui valgono allora le parole del Vangelo: "Vieni benedetto dal Padre mio, ero carcerato e sei venuto a visitarmi, entra nella gioia del tuo Signore"».

«Proprio così - conferma don Ceccolini -. Era un sacerdote realizzato, un uomo contento di donare la sua vita per ridare speranza». Quando parlava della sua vocazione, con la decisione di entrare tra i Terziari Cappuccini, sottolineava: «L’idea di diventare prete l’avevo in mente fin da bambino. Mi affascinarono i giovani Terziari Cappuccini che arrivarono in una chiesa vicino a casa nostra. Avevano una vocazione all’aiuto dei giovani “difficili”. Sentivo raccontare da loro le storie di ragazzi apparentemente persi, e poi recuperati. Mi rimase in mente un’espressione: “Per ogni ragazzo salvato, si salva una generazione”». E in effetti di giovani, e quindi di generazioni, padre Gaetano ne ha salvati tanti. Non solo nel carcere, ma anche attraverso Borgo Amigò, dal nome del fondatore dell’Ordine, Luigi Amigò, un vescovo spagnolo. Una casa di accoglienza per i suoi ragazzi "difficili". L'idea - racconta don Nicolò - gli venne un anno a Natale. «Un ragazzo era stato scarcerato alla vigilia di Natale. Padre Gaetano entrando in carcere lo trovò disperato. “Proprio adesso mi hanno liberato”, diceva. “E non sei contento?”. "E adesso dove vado a mangiare?". Quel colloquio gli fece scattare la molla per mettere in piedi nel 1995 Borgo Amigò, a Casalotti, periferia di Roma.

Unanime il cordoglio per la scomparsa del religioso. A Roma come a San Giovanni Rotondo. La presidente del XIII Municipio, Sabrina Giuseppetti, lo ricorda così: «Padre Gaetano per il nostro territorio ha rappresentato un punto di riferimento forte, una luce di speranza. Un visionario e un sognatore che ha avuto il coraggio di investire sui ragazzi emarginati e disprezzati dalla società. Ha condotto davvero una vita da buon Pastore, alla ricerca della pecorella smarrita per ricondurla sulla retta via. Riposa in pace Padre Gaetano».








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