venerdì 15 settembre 2023
Si chiama Sunflower-200, ha una lunghezza di 3,2 metri, un’apertura alare di 2,5 metri e una velocità di volo di 160-220 chilometri all'ora. Finirà sui campi di battaglia in Ucraina?
Il nuovo drone kamikaze cinese Sunflower-200

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Si chiama Sunflower-200, ha una lunghezza di 3,2 metri, un’apertura alare di 2,5 metri e una velocità di volo di 160-220 chilometri all'ora. Può viaggiare fino a 2mila chilometri per colpire obiettivi. E, soprattutto, può trasportare un peso (leggi una carica esplosiva) di 40 chilogrammi. È il nuovo drone kamikaze, la versione cinese dello Shahed-136 di fabbricazione iraniana, con il quale Pechino – secondo quanto scrive il sito Asia Times -, è pronta a inondare il mercato della guerra. Perché una cosa è ormai assodata: lo scenario ucraino ha definitivamente cambiato il volto della guerra. Come ha già scritto Avvenire, “i droni si sono impossessati della scena e non la abbandoneranno presto. Mai si era visto un impiego così massiccio di robot aerei, marittimi e terrestri. Purtroppo è il trionfo dell’intelligenza artificiale piegata a scopi bellici. Nei due eserciti, russo e ucraino, i droni stanno giocando molti ruoli: vanno all’attacco, fanno intelligence, guidano le armi, sono ponti di comunicazione, combattono missioni di guerra elettronica e ingannano il nemico. Filmando le distruzioni, diffondono immagini vincenti, utili per impressionare il pubblico globale e alimentare la propaganda interna”. La Cina oggi è il principale esportatore globale di droni da combattimento. Come mostrano i dati dello Stockholm International Peace Research Institute (Sipri), Pechino ha messo a segno un’intensa attività “commerciale”: ha “spedito almeno 282 droni da combattimento armati in 17 Paesi negli ultimi dieci anni. Nello stesso periodo gli Stati Uniti ne hanno esportati solo 12 nello in Francia e Gran Bretagna”.
Il nuovo drone kamikaze cinese finirà nei campi di battaglia ucraini? Pechino ha fino ad oggi adottato un atteggiamento molto cauto per non incappare nelle sanzioni occidentali. Per gli analisti militari, i "buchi" nell’industria bellica russa, legati soprattutto alle difficoltà di approvvigionamento, potrebbero però mutare gli equilibri e cambiare le carte in tavola. Secondo Asia Times, "le aziende russe hanno importato almeno 37 droni cinesi per un valore di 103.000 dollari tra dicembre 2022 e aprile 2023, designati nei documenti di sdoganamento per “operazione militare speciale” della Russia". Le aziende russe hanno anche pagato alle imprese cinesi 1,2 milioni di dollari per dispositivi che rilevano e bloccano i droni nemici”.
E i rivali? Non stanno a guardare. Il mese scorso, il vicesegretario alla Difesa Usa, Kathleen Hicks ha presentato il nuovo programma “Replicator” del Pentagono, il cui obiettivo è consentire all’industria bellica americana di sfornare migliaia di droni da combattimento “economici e intelligenti” per qualsiasi conflitto futuro. Come riportato dal sito InsideOver, “il dipartimento della Difesa intende creare migliaia di veicoli aerei senza pilota economici da qui al 2025". L’iniziativa, ha specificato Hicks, punta a contrastare la Cina con una “massa” di droni nonché la messa in campo di un esercito “più agile”.
Gli Usa temono che Pechino possa sfidare sempre più l’esercito americano in termini di “più navi, più missili, più persone”. E dunque ecco le contromosse: puntare su uno strumento "agile" come i droni. Secondo la Reuters, “siamo davanti a un capovolgimento della visione convenzionale degli ultimi decenni, in cui gli Stati Uniti erano il leader incontrastato in termini di grandi piattaforme militari – bombardieri a lungo raggio, portaerei e simili – mentre i rivali come la Cina inondavano il mondo con mezzi e armi a basso costo”.

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