
Prevost il giorno del Battesimo della figlioccia Mildred
La temperatura aumenta man mano che, dalle rive del Pacifico, ci si addentra nell’altipiano. Là, appena poco prima di cominciare la vertiginosa arrampicata sulle Ande, c’è Chulucanas. “Mi sto sciogliendo”, vorrebbe dire il suo nome in lingua quechua, secondo un’antica tradizione che convince poco gli esperti di etimologia. Per questi ultimi, l’origine è legata alla parola utilizzata dagli Aymara per indicare la pietra nuda. Entrambe le versioni, in ogni caso, richiamano la terra riarsa su cui si stabilirono antiche civiltà pre-incaiche, molto prima della fondazione ufficiale della città all’inizio del XX secolo. Un paesaggio spoglio e essenziale, pieno e vuoto al contempo. Il suo fascino magnetico conquistò al primo sguardo il giovane missionario agostiniano catapultato in Perù tre anni dopo l’ordinazione sacerdotale. Era il 1985 e la regione di Piura, nel nord del Perù dove Chulucanas si trova, era ferita dalla violenza della guerriglia di fanatici maoisti di Sendero Luminoso nonché da quella degli squadroni della morte governativi. Un terzo della popolazione, tuttora, è povero, soprattutto nei villaggi rurali, eternamente invisibili per le autorità di Lima, distante settecento chilometri a sud. Proprio a loro, padre Roberto – il nome fu immediatamente ispanizzato – dedicò attenzione speciale. «Non importava se ci fosse la pioggia o il sole. Se ci fossero cinque persone o cinquanta. Si metteva in moto e andava a trovarli. Aveva tempo per tutti. Non briciole di tempo, tempo vero. Riusciva a costruire legami profondi. Che hanno resistito agli anni. Perfino quando era prefetto del dicastero dei vescovi si ricordava di inviarmi dei messaggi. Brevi ma costanti. Non dimenticava mai di mandarmi anche solo un saluto», racconta Héctor Camacho che ha conosciuto l’attuale papa Leone XIV quando aveva appena 13 anni ed è rimasto suo amico finora. Héctor era parte del gruppo di adolescenti a cui il futuro vescovo di Roma faceva formazione e accompagnamento spirituale nonché dei “chierichetti di Cristo Re”, che servivano durante la Messa. «Era bravissimo con i ragazzi perché sapeva ascoltare davvero. A me infondeva molta serenità e riuscivo ad aprirmi. Gli raccontavo i dubbi, i problemi, le attese. È stata una figura paterna anche se aveva trent’anni». Per questo, per Héctor è stato naturale, un decennio dopo, ormai sposato con Roxana Dioses e in attesa della prima figlia, chiedere a padre Roberto di battezzarla. «Non come sacerdote, però. Volevo fosse il padrino della mia bambina. Lui ha detto subito sì. È venuto apposta a Chulucanas: al tempo aveva lasciato la città per rientrare negli Usa e poi tornare in Perù, a Trujillo, dove era direttore del seminario di San Marcello e San Carlo. Non ho dovuto neppure insistere. Mi ha detto: “Certo, ci sarò con molto piacere”», aggiunge l’ormai 53enne che per vivere vende carne di pollo a domicilio. Era a bordo della sua moto, impegnato nelle consegne, nel pomeriggio di giovedì – ora peruviana – quando il cellulare ha squillato. «Era lei, mia figlia. Sembrava impazzita. Gridava, piangeva…. “Il mio padrino è diventato Papa”, diceva. Ho rimesso in moto e sono sfrecciato a casa. Ci siamo abbracciati tutti, non credo proverò mai più un’emozione simile». «Non dormo da tre notti. Non ci riesco. Penso a tutte le volte che mi ha benedetto…».
La figlioccia, che ora ha 29 anni, ed è a sua volta mamma di Gaela Nicole e Valentina, di 9 e 4 anni, è molto emozionata. Come il papà, nonostante la distanza, è riuscita a costruire un rapporto con il padrino-viaggiatore. «A differenza mia, aveva conosciuto tanti posti: gli Usa, l’America Latina, l’Europa. Era molto affascinata da tutto questo, e lui mi raccontava con generosità. Il suo esempio è stato importante nella mia crescita: mi ha mostrato l’importanza dell’umiltà, della semplicità al cuore del nostro popolo, che lui tanto amava», racconta la ragazza che sogna di studiare lingue e comunicazione e si chiama Mildred, come Mildred Martínez, la madre del Pontefice.
«Padre Roberto era molto legato alla mamma. Era stato un duro colpo quando era morta nel 1990 – sottolinea Héctor –. Me lo avevo detto una sera, quando ero andato a trovarlo in seminario. Sentivo che era molto turbato. Quando Roxana è rimasta incinta e abbiamo saputo che avremmo avuto una femmina, non riuscivamo a decidere come chiamarla. Come per tutte le cose importanti, ho chiesto un consiglio al mio amico di sempre. Mentre parlavamo, mi è venuto spontaneo domandargli: “Ma se fosse Mildred, come la tua mamma, ti farebbe piacere?”. Non so nemmeno io perché, mi è nato dal cuore. “Il suo sorriso ha anticipato il sì”».

Prevost a cavallo quand'era vescovo a Chiclayo - Ansa
Mildred Camacho Dioses è stata battezzata nella chiesa, dalla facciata squadrata e candida, di San Giuseppe lavoratore, il 10 agosto 1996, a un anno esatto dalla nascita. Le foto sbiadite, che la giovane toglie con cautela dall’album in cui sono custodite, mostrano il missionario sorridente ed emozionato in pantaloni e giacca scura e una piccola croce al collo, accanto a Roxana e Héctor. La piccola, avvolta in una nuvola di stoffa bianca, è in braccio alla madre. In un altro scatto, l’allora padre Roberto regge affettuosamente la testa della bambina insieme alla madrina, Gioconda Cabrejo Camacho. Poi ci sono le immagini della festa, in una sala di mattoni, semplicemente addobbata con ghirlande di carta e palloncini. L’agostiniano appare a suo agio. Chi lo conosce ricorda la capacità di stare fra la gente, azzerando le distanze. Adorava la musica “criolla”, tipica del Perù, e gli piaceva cantare. «Non ha mai perso questo tratto, neppure quando è diventato cardinale. Il che mi colpiva. Mi dicevo: “Ma come, quest’uomo è un collaboratore di papa Francesco, ha studiato tantissimo, ha girato il pianeta. E appena capita in zona chiama mio papà e lo riceve come un fratello?”». L’ultima volta è stato lo scorso 10 agosto. L’allora prefetto era stato invitato a Chulucanas per presiedere la Messa per il 60esimo anniversario della diocesi.
«Come sempre, aveva avvertito mio papà affinché potessimo salutarlo. Siamo andati tutti. Ed è stato affettuoso come sempre – conclude Mildred –. Si è messo a scherzare con il suo amico Héctor come se non fosse il cardinale. Prima di congedarci, gli abbiamo chiesto una benedizione. Non dimentico quanto mi diceva sempre: “Il segreto è non perdere il buon umore Mildred, per quanto le circostanze si facciano complicate...”».